Tornano ghiacci e freddo e i catastrofisti tremano
09 Gennaio 2009
Il freddo polare di questi giorni è compatibile col riscaldamento globale? Qualunque sia la risposta, i fautori delle politiche climatiche europee si sono improvvisamente trovati a giocare in difesa. Non avevano ancora finito di brindare per l’elezione di Barack Obama (erroneamente ritenuto il messia di Kyoto in terra americana) che neve e ghiaccio ne hanno gelato le aspettative. Così, l’interesse della gente comune e degli organi di informazione si è improvvisamente rivolto altrove, verso coloro che – fino a poco tempo prima – erano considerati quasi dei paria della climatologia. Cioè quegli scienziati “scettici” che hanno sempre messo in dubbio i dogmi del climaticamente corretto.
Ma davvero basta un anno a far franare convinzioni che parevano sedimentate? Sì e no. Il clima è un sistema complesso, che risponde a impulsi sia di breve che di lungo periodo. Se, per esempio, le temperature medie globali tendono ad aumentare, è occasionalmente possibile che il termometro si spinga inaspettatamente verso il basso. Naturalmente, è altrettanto vero il contrario: cioè, che esse facciano segnare valori record. Accadde con l’ondata di calore del 2003. All’epoca, coloro che oggi invitano a non confondere gli eventi meteorologici con le dinamiche climatiche, dichiaravano tuttavia che la lunga estate calda fosse inequivocabile segno del cambiamento del clima. Che la stessa logica si ritorca contro di loro, è solo un ironico contrappasso.
Questo non deve, tuttavia, distogliere l’attenzione da quello che è il tema fondamentale: il clima sta cambiando? Se sì, quanto? Se tanto, l’uomo ne è responsabile? In caso affermativo, è possibile invertire o frenare la tendenza? E conviene? Sono questi cinque interrogativi che cercano una risposta concreta, quando invece hanno, fino a oggi, ricevuto un circolo vizioso di slogan allarmistici.
Ci sono, ovviamente, delle certezze. La prima è che il clima sta cambiando. La seconda è che è sempre cambiato. La terza è che cambierà sempre. Se si prescinde da questo fatto, affermando (come fanno i meno corretti) o sottintendendo (come i più sgamati) che il passato è stato contraddistinto da temperature grosso modo costanti, si finisce per sostenere delle falsità pericolose. Poiché il clima cambia sempre, non ci sono molte alternative: o fa più caldo, o fa più freddo. Non è che l’una cosa sia peggio dell’altra, in astratto: è che, in ogni dato periodo, una delle due deve essere vera.
Sappiamo inoltre che, nell’arco del ventesimo secolo, le temperature sono salite di meno di un grado, e che questo – pur avendo avuto delle conseguenze sugli habitat naturali – non ha causato sfracelli. L’umanità non solo ha saputo convivere, adattandosi, coi mutamenti, ma ha saputo, grazie o nonostante essi, creare le condizioni per accrescere la ricchezza e lo standard di vita di tutti. Quindi, è chiaro che “circa un grado” di riscaldamento nell’arco di un secolo non è “tanto”. Quindi, se questo è ciò a cui andiamo incontro, non dovremmo cadere in preda al panico.
Al di là di questo, è importante capire se e quanto le emissioni dovute all’uomo incidano sulle dinamiche climatiche. L’apparente consenso sembra indicare una nostra responsabilità, ma numerosi scienziati la pensano diversamente – o, per dirla nei termini corretti, ritengono che il contributo antropogenico al global warming sia piccolo o addirittura non misurabile, e in ogni caso non sia tale da richiedere interventi correttivi. L’andamento di quest’inverno e, più in generale, il fatto che negli anni Duemila non si sia osservata alcuna rilevante tendenza al riscaldamento, suggerisce un fatto: esistono fattori naturali, come il ciclo solare, che possono dominare il clima, il quale è soggetto a un’imprevedibilità e una variabilità tali da vanificare ogni tentativo di previsione. Ciò dovrebbe indurre, quantomeno, a soppesare con attenzione i provvedimenti che vengono presi, soprattutto quando – come nel caso del pacchetto clima dell’Unione europea – implicano un costo molto significativo per la nostra economia. Se qualunque sforzo è destinato a generare un beneficio piccolo o inesistente, nessuna spesa è giustificata.