Tornano gli aiuti di Stato alla Fiat. Ma non sarebbe il caso di finirla?
17 Ottobre 2008
di Milton
Il viaggio a Bruxelles del Presidente Berlusconi in occasione degli incontri del Consiglio Europeo era cominciato sotto i migliori auspici: la minaccia italiana di veto sulle disposizioni UE in materia di emissioni di CO2. Disposizioni assolutamente irrilevanti per quanto riguarda l’impatto sull’anidride carbonica totale immessa nell’atmosfera, ma costosissime per il sistema Paese e le imprese. Finalmente l’intoccabile tabù del Protocollo di Kyoto, uno degli accordi più inutili e devastanti della storia, viene prepotentemente rimosso. Molto bene. Anzi benissimo!
L’urlo di soddisfazione si è però strozzato in gola quando ieri il Presidente del Consiglio, accompagnato dal Ministro dell’Economia, ha dichiarato che gli aiuti di Stato alle aziende automobilistiche sono un imperativo categorico. Il Presidente Berlusconi ci ha spesso abituato a sorprese (per quanto mi riguarda, molto spesso positive), ma questa volta ci ripropone una vecchia costosa ed inutile cantilena.
Sono ormai infatti almeno tre decenni, che la maggior industria italiana beneficia di aiuti di Stato, sotto varie forme, tanto creative quanto inefficaci.
Su tutte basta ricordare la svendita di Alfa Romeo alla Fiat da parte dell’IRI di Romano Prodi o la più recente mobilità lunga accordata alla casa torinese qualche anno fa, strumento ad hoc, che accompagna alla pensione, a spese del contribuente, per 7 (sette!) anni, più di tremila esuberi Fiat.
Una domanda sorge spontanea: quando la Fiat verrà finalmente privatizzata? L’azienda infatti è uno strano animale economico bifronte, ma con un’unica tasca. L’azionista di riferimento, in tempi di vacche grasse incassa utili che poi trasla, per esempio con “equity swap” nella cassaforte di famiglia (a proposito a che punto sta il procedimento giudiziario che riguardava proprio questo genere di operazione?), mentre in periodi di crisi, ristruttura con i soldi dei contribuenti ai quali, per altro, ha rifilato per anni automobili di scarsissima qualità a prezzi non competitivi. Una volta c’era la scusa di carattere, diciamo così, sociale: …. però – si diceva – la Fiat da lavoro a tante persone. Si è vero, ma non in Italia: ormai da anni la maggior parte della produzione viene fatta all’estero.
Fa specie infine, che la nostra casa automobilistica nazionale possa avere bisogno di aiuti Stato, dopo che negli ultimi due anni si sono decantate le lodi del miracoloso rilancio della Fiat e dei poteri taumaturgici del suo Amministratore Delegato. Ma tant’è, così va il mondo, il Gruppo Fiat detiene giornali e l’opinione pubblica ha ovviamente il suo peso.
E così stanno ritornando i tempi della rottamazione (un esercizio di trasferimento di fondi pubblici alla Fiat, che si ripropone ormai con cadenza biennale) e degli incentivi di ogni ordine e grado.
A questo punto faccio una proposta: se ciò deve essere che sia, ma si scambino gli aiuti di Stato con azioni Fiat, la si nazionalizzi finalmente, mettendo fine a questo ridicolo ed annoso equivoco.
Da liberista (ma si può ancora dire?), mi sento automutilato nel fare quest’ultima affermazione, ma almeno so che le mie tasse non andranno a rinforzare il parco giocatori della Juventus.