Tra Erdogan e Ataturk la resa dei conti è sempre più vicina
09 Luglio 2008
Il potere roccioso dell’AKP in Turchia rischia di sbriciolarsi. L’islamizzazione morbida di Erdogan potrebbe essere troncata dalla corte costituzionale, chiamata a pronunciarsi sulla richiesta di scioglimento dell’AKP. Ma con un tempismo impressionante emerge un complotto contro il governo architettato da una presunta organizzazione clandestina anti-islamica. La Turchia è una scacchiera su cui le pedine sono pronte all’attacco.
L’AKP ha conquistato i vertici dello stato con tempi da centometrista. La bandiera del partito di Erdogan sventola su parlamento, governo e presidenza della repubblica. L’AKP è stato il primo partito islamico a forgiare una corona così robusta di poteri laddove gli storici partiti secolari si erano impaludati in fragili e litigiose coalizioni a breve durata, con premier privi di carisma e ostaggio delle trattative nella maggioranza. L’AKP vanta un forte afflato europeista e sfoggia gli entusiasmanti risultati della sua virtuosa politica economica. Eppure questo patrimonio viene polverizzato con un attacco frontale alla laicità, che non rappresenta un problema per la Turchia – ma lo diventa per il radicalismo musulmano che intende decapitare il suo più fiero nemico. La spallata proviene dagli emendamenti costituzionali per rimuovere il bando sul velo islamico per le donne nelle università. Ma è una mossa fallimentare, perché l’opposizione laica chiama in causa la corte costituzionale che, dopo soltanto tre mesi, respinge la riforma del governo per attentato al secolarismo dello stato. E’ la prova generale per mettere in scacco Erdogan.
L’islamizzazione dell’AKP si ferma improvvisamente davanti alla corte suprema. Alla metà di marzo un singolo giudice, il procuratore capo della corte d’appello, denuncia alla corte suprema il partito di Erdogan poiché centro di attività anti-secolari. La richiesta è secca: la chiusura del partito e il bando per cinque anni di 71 suoi dirigenti da ruoli politici. Alla fine di giugno le undici toghe della corte suprema ricevono gli incartamenti dell’accusa e si preparano, dopo aver ascoltato la difesa dell’AKP, ad emettere la loro sentenza.
I cicli della storia turca si ripetono. Ancora una volta la tutela della laicità dello stato dall’aggressione islamica dipende dal supremo tribunale. Ma l’AKP non è un gracile partito che si rassegna a finire triturato come i suoi predecessori. Questa volta l’integralismo islamico, sebbene camuffato da moderato riformismo, è incarnato in un partito a vocazione egemonica. L’AKP ha stretto una rigida morsa sulla democrazia turca come principale scudo e spada per esercitare il suo potere. Perciò la linea di difesa più efficace è proprio schierare l’AKP dalla parte della democrazia – e schedare come terroristi e sovversivi gli esponenti dell’opposizione anti-islamica.
Detto fatto. Ecco “Ergenekon”, l’etichetta di un’organizzazione clandestina di ultra-nazionalisti accusata di complotto per spodestare Erdogan. Ventuno arresti che includono uno stimato giornalista del più antico quotidiano turco, un esponente del mondo industriale e due generali in pensione. Le manette hanno già stretto i loro polsi, nonostante nessuna imputazione sia ancora stata formulata – e tra gli incarcerati c’è già una vittima uccisa da un cancro mai diagnosticato dalle autorità penitenziarie. Più che questi improbabili cospiratori, la vera notizia è che il governo ha intercettato le conversazioni telefoniche dei suoi oppositori per poi eliminare i più pericolosi. La cancellazione della laicità delle istituzioni procede sullo stesso binario della neutralizzazione degli avversari politici. La democrazia dell’AKP si sta rivelando uno schermo per celare un potere opposto.
L’accusa più pesante che pende su “Ergenekon” è quella di fomentare una strategia della tensione, a base di propaganda anti-governativa e attentati terroristi, per legittimare un intervento dell’esercito e defenestrare l’AKP. Quest’interpretazione dimostra l’astuzia della ragione politica dell’AKP. Invece di attendere inerme il verdetto, quasi scontato, della suprema corte, Erdogan sta ribaltando la situazione a suo favore. Prima ha screditato l’opposizione con l’inchiesta “Ergenekon”; poi gioca in contropiede con l’esercito che finora è rimasto nell’ombra, impegnato in una spinosa guerriglia nel Kurdistan iracheno.
Per rimanere al potere, l’AKP progetta di confluire in un nuovo gruppo parlamentare per evitare lo scioglimento dell’assemblea ed elezioni anticipate da affrontare in condizioni troppo ardue per sperare in un’altra fulminante vittoria. L’AKP sta scavando le sue trincee nella speranza di bloccare la contro-rivoluzione laica. Ma l’esercito resta un’incognita. Se interviene, l’AKP può inscenare la farsa dell’aggressione alla democrazia. Se desiste, allora l’AKP potrà riciclarsi più facilmente. L’ultima sfida di Erdogan è sopravvivere laddove le sentenze dei supremi giudici hanno sempre falcidiato i suoi predecessori. Sarebbe un’offesa alla laicità della Turchia peggiore della rimozione del bando sul velo islamico.