Tra il governo delle tasse e Valentino, io sto con Valentino

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Tra il governo delle tasse e Valentino, io sto con Valentino

14 Agosto 2007

l casi di Valentino Rossi e Loris Capirossi, entrambi inseguiti dal fisco per lesa sovranità fiscale della nostra Repubblica (nel caso di Valentino, c’è effettivamente anche il dubbio di qualche comportamento un po’ troppo disinvolto), è assai più interessante di quanto non sembri a prima vista. Sono molti i sondaggi – on line o più “solidi” – che si sono sincerati di che cosa davvero pensino gli italiani, delle vicende del campione di Tavullia. Fra i lettori del “Quotidiano nazionale”, solo il 20% scusa il comportamento di Valentino. Secondo un sondaggio di SkyTg24, è invece addirittura il 35% dei suoi connazionali a sostenere che Rossi abbia fatto bene ad evadere il fisco.

Queste rilevazioni, è chiaro, valgono quel che valgono. Sia perché il campione è limitato, sia perché il giudizio circa qualsiasi comportamento legato ad una persona della rilevanza pubblica di Valentino Rossi è inevitabilmente viziato da altri fattori. I tifosi di Max Biaggi, per esempio, molto probabilmente disapproveranno Valentino a prescindere: e in un sondaggio on line, chi può garantirci che non si siano precipitati a votare contro di lui? Ma vale, ovviamente, pure l’ipotesi di segno opposto.

In generale, però, è significativo che una percentuale a due cifre dei votanti/interpellati sia pronta a “perdonare” apertamente un comportamento come l’evasione fiscale, che di solito rientra nella categoria del si fa ma non si dice. Ed è particolarmente rilevante che questo avvenga quando si parla di un personaggio come Rossi.

Se non altro per un motivo: Valentino appartiene a quella schiera di individui separati da Madre Natura dal resto del genere umano. La sua ricchezza da capogiro non trae origine da una vita di duro lavoro: ma da un talento innato, certo sapientemente coltivato, messo alla prova con allenamenti durissimi, e tuttavia un qualche cosa che, di per sé, è inaccessibile al grosso di noi. Valentino si guadagna da vivere svolgendo un’attività piuttosto comune: guida una motocicletta. Eppure non solo il contesto in cui la guida (il motomondiale), ma soprattutto il modo in cui lo fa da quando era poco più che adolescente, lo inseriscono in una categoria a sé.

Questo è bastato a dargli “cose” che persino grandi del business non avrebbero che a fasi molto più avanzate della loro carriera, e con dosi di fatica infinitamente superiori (e di tempo libero e divertimento, infinitamente inferiori). Popolarità, belle donne,  belle case, belle macchine. Valentino è un privilegiato. Lo è perché il caso gli ha fruttato un talento straordinario, e la fortuna ha voluto che quello fosse un talento socialmente molto apprezzato: per vederlo all’opera, la gente è disposta a sacrificare tempo (quello che serve per guardare le gare, più la pubblicità che vi viene generosamente inserita), e denaro (quello che serve per entrare alle piste).

Ora, noi tutti siamo cresciuti in un universo di valori nel quale pagare le tasse, contribuire al bilancio dello Stato, è “giusto” a prescindere – persino a prescindere da quello che lo Stato poi farà, dei nostri soldi. Tuttavia, sia la Costituzione che la cultura che vi ha dato origine e tutt’ora la preserva, specificano che è giusto che chi più guadagna, più paghi. Non si sa se venga dato “a ciascuno secondo i suoi bisogni”, ma sicuramente viene preso da ciascuno “secondo le sue possibilità”.

Per portare eguaglianza laddove c’è diseguaglianza, del resto, non c’è altra via. E se l’eguaglianza deve essere la norma, è chiaro che le oscillazioni rispetto a quella “norma”, i picchi, vanno sanzionati, perché la loro eccezionalità dimostra un superiore vantaggio da pareggiare affinché – secondo le visioni economiche per cui la ricchezza è una torta da dividere, e non qualcosa da creare – non ne soffrano i meno avvantaggiati.

La teoria di maggior successo a sostegno dello Stato social-democratico, quella di John Rawls, di fatto presuppone la non-proprietà dei talenti naturali da parte di ciascuno di noi. La scelta, riguardo alle regole del vivere assieme, che si fa “dietro velo di ignoranza” è appunto “schermata” rispetto agli esiti della “lotteria naturale”: dove nasceremo, quali saranno i nostri pregi e difetti nel mondo. Siccome nessuno sa se egli nascerà Valentino Rossi oppure uno dei tanti Signor Rossi, Rawls ci propone – facendo perno sulla scarna propensione al rischio di ciascuno di noi – di mettere in difficoltà il primo (del resto, quante probabilità abbiamo di nascere con un tale equipaggiamento naturale?) a vantaggio dei secondi. L’idea è assai appetibile per molti, ed è difficile dire che l’arbitrarietà nella distribuzione dei talenti non sia accomunata – nel pensiero comune – a un senso d’ingiustizia. L’invidia sociale è strettamente legata alla “lotteria” di Madre Natura. Perché lui è bello e io no, perché i suoi genitori lo incoraggiavano e i miei no, perché lui è ricco e io no, insomma perché lui ha preso il biglietto buono e io invece no? Tutti vorremmo essere Valentino Rossi, volare sulle piste del motomondiale, uscire con Martina Stella o Elisabetta Canalis, dormire su un materasso foderato di quattrini. Ma non è possibile, Valentino è uno solo.

Val la pena ricordare come in una pagina assai nota, il grande avversario di Rawls, Robert Nozick, tirasse in ballo proprio un rinomato sportivo: Wilt Chamberlain, campione americano di pallacanestro degli anni settanta. Nell’allegoria sportiva di Wilt Charmberlain, Nozick immaginava di partire da uno stato nel quale la distribuzione fosse “equa”. Anche in una società egualitaria, c’è la pallacanestro: ed il potere di attrazione del pubblico che Charmberlain esercita è tanto forte da consentire di fissare il biglietto d’ingresso alle partite in cui gioca ad un prezzo più alto di quello delle altre e di distribuire tale incasso aggiuntivo a Chamberlain stesso. E’ come se tutti gli spettatori che assistono alle sue evoluzioni, oltre a pagare il biglietto, versassero in un’urna un dollaro per Chamberlain. Che se li mette in tasca. Dunque, alla fine della partita, addio distribuzione egualitaria.

Che c’è di sbagliato? Nessuno ha costretto gli spettatori a rinunciare alla somma necessaria per vedere Chamberlain tirare a canestro: ne sortisce una distribuzione delle risorse diseguale, però. Ma se quella disuguaglianza non frutto di un torto, bensì di uno scambio o financo di un caso della vita, è legittima. Se all’inizio della partita Chamberlain e i suoi spettatori sono ricchi uguale, alla fine della partita questi ultimi hanno trasferito al primo un dollaro a testa: lui è più ricco di loro, loro lo hanno volontariamente reso tale.  La morale libertaria è: “da ciascuno secondo come sceglie, a ciascuno secondo com’è scelto”.

Valentino Rossi è il nostro Wilt Chamberlain. E’ straordinario che tanti italiani stiano dalla sua parte, nella schermaglia che lo vede opposto al nostro Stato, perché proprio gli eccezionalmente talentuosi come lui sono quelli che più dovrebbero essere “costretti” a pagare le tasse, in una prospettiva che coerentemente mettesse al centro il sogno di usare il fisco per “correggere la fortuna”.

Nel contempo, il caso di Valentino è utile perché dimostra come perfino dalla nostra “prigione fiscale” si può evadere, se se ne hanno i mezzi. La scelta di trasferirsi a Londra (come ha fatto Rossi) o a Montecarlo (come ha fatto Capirossi) non è legata primariamente alle bellezze del luogo. Questi due campioni hanno un legame forte con l’Italia, parlano italiano, svolgono un lavoro che li porta a girare il mondo, ma che non li vincola necessariamente a questo o quel Paese di resistenza. Non sono merchant banker o sommelier, “prestati” a una banca d’affari britannica o a un ristorante monegasco. Hanno scelto di risiedere in realtà che spalancano le porte a persone ad altissimo reddito quali loro sono. E, facendo questo, non hanno perso una goccia di sangue italiano, né sono considerati meno “italiani” dai loro tifosi tricolore.

La concorrenza fiscale, insomma, vince anche in un mondo nel quale gli Stati – specie quelli più grandi, costosi e inefficienti – cercano disperatamente di evitarla. Il problema è che, in un mondo siffatto, sono i contribuenti più deboli quelli che più raramente riescono a beneficiarne. E’ improbabile che un padre di famiglia, modesto artigiano, trasferisca la residenza a Montecarlo. Così, il sistema fiscale non riesce a colpire proprio quelli che ha al centro del mirino, data la sua natura intrinsecamente progressiva, cioè i più talentuosi e dunque ricchi, che hanno gli strumenti necessari per tentare una via di fuga.

Il 35% di italiani che “scusa” Valentino ha visto giusto. In primo luogo, non crede più che sia necessario (giusto) punire il talento. In secondo luogo, capisce che chi può scappare di galera lo fa – e non tanto perché l’Italia è il “Paese dei furbi”, ma perché giustamente e come sempre gli individui rispondono ad incentivi. Se col passaporto inglese i miei redditi non prodotti in Inghilterra non vengono tassati, e se posso permettermi di vivere in un posto costoso quanto Londra (facendo dunque indirettamente fluire quattrini nei forzieri di Sua Maestà), perché non farlo? Cosa dà lo Stato italiano a Valentino Rossi, per convincerlo a continuare a sacrificargli metà dei frutti della sua abilità? I suoi tifosi italiani, del resto, non gli levano certo il proprio affetto e la propria lealtà: giudicano il cuore che mette nelle curve, se ne fregano della carta d’identità

Su Valentino Rossi e Loris Capirossi è montata una polemica estiva, che non intaccherà la loro reputazione e si spegnerà all’inizio dell’autunno. Ma non sarebbe sbagliato ripartire da qui, per immaginare un fisco meno “progressivo”: meno determinato a colpire le diseguaglianze e il talento e, dunque, meno capace di farlo fuggire all’estero.