Tra Walter e Tonino un connubio illiberale

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Tra Walter e Tonino un connubio illiberale

15 Febbraio 2008

Prendendo atto delle vicende di questi giorni si può
ragionevolmente prevedere che di qui al giorno in cui si chiuderanno e si
presenteranno le liste si avrà modo di assistere ad altri e non meno intricati
fenomeni di accoppiamento elettorale. Inglobando l’ IdV di Di Pietro e
respingendo (fino ad ora) Socialisti e Radicali, Veltroni ha un po’ offuscato
l’indubbio impatto elettorale della sua decisione di correre libero e solo.
Perché l’abbia fatto è chiaro e comprensibile; il costo, soprattutto per chi si
professa fedele allo ‘stato di diritto’, è decisamente alto.

A Di Pietro, Veltroni ha infatti promesso “che i
magistrati devono poter intercettare chi vogliono, quando vogliono e come
vogliono”. Purché le informazioni così raccolte non vengano pubblicate sui
giornali. Non si tratta di mettere in discussione le prerogative ed i compiti della
magistratura inquirente, ma di rendersi conto quanto quei ‘chi’, ‘quando’ e
‘come’ possano incidere sulle libertà individuali annullando qualsiasi garanzia
costituzionale e lasciando (se va bene) che esse siano alla mercé della
benevolenza e della correttezza degli inquirenti.

Di questa benevolenza e correttezza, Di Pietro si propone come unico e assoluto garante. Questo dovrebbe rassicurare Veltroni sul fatto che i magistrati così garantiti sarebbero incapaci di fare usi personali o politici delle informazioni di cui vengono in possesso.

Da anni, accettandole o subendole per motivi di
sicurezza, siamo oggetto di incalzante susseguirsi di misure che restringono
le libertà individuali. Se Veltroni dovesse avere la possibilità di mantenere
la sua promessa (e magari di affidarne la realizzazione a Di Pietro) è chiaro
che a quel restringimento non ci sarà più limite perché esso non sarà più
ancorato alla Costituzione (e alle tante leggi e Authority che finora, in
realtà, hanno complicato il godimento dei diritti ma senza assicurare la
concreta fruibilità) ma alla coscienza dei magistrati.

Che un politico che si dichiara liberal ed amante
dell’America (ma evidentemente non della sua Costituzione) possa aver rinnegato
così platealmente i princìpi del Rule of Law per affidarsi alla coscienza
individuale e collettiva di un sia pure importante organo dello stato, non è
privo di interesse. Non soltanto perché fornisce indicazione di ciò che il Pd
può essere capace di fare per racimolare voti, ma, soprattutto, perché si
tratta di un inequivocabile segnale della considerazione che l’opinione
pubblica dell’Italia d’oggi attribuisce alla garanzia dei diritti individuali.
In breve, dimentichiamo che l’esperienza storica mostra che il restringimento
di quei diritti è il preludio del declino di ogni sistema politico per il fatto
che la regolazione ed il controllo dell’agire umano è un’attività costosa che
finisce per pesare sull’insieme dei settori produttivi, per limitare la
creatività individuale e per danneggiare l’innovazione. Del resto, è noto che
l’attrazione dei sistemi istituzionali in cui la libertà individuale può essere
soggetta all’arbitrio di funzionari dello stato non è molto alta.

Veltroni, in sostanza, ha così lasciato intendere di
essere ancora convinto che la moralità individuale e pubblica possano essere il
prodotto di misure politiche e dell’incremento dei controlli che i magistrati
possono fare sui cittadini.

Nessun pensatore, nella pur lunga e complessa storia del
Costituzionalismo liberale, ha immaginato che alla magistratura inquirente
potessero essere attribuiti poteri tanto vasti ed incontrollabili. Così come,
oggi, nessuno sembra avere il coraggio di chiedersi e di sollecitare un
dibattito pubblico sulla possibilità che delle informazioni raccolte tramite
intercettazioni possa essere fatto un cattivo uso.

Si assiste così ad un paradosso che può essere così riassunto: l’incremento delle misure limitative della
libertà individuale non ha prodotto nessun incremento della sicurezza. Da tempo
il numero dei reati è sostanzialmente stabile e semmai tende ad incrementare
tanto per effetto dell’emergere di nuove problematiche sociali (immigrazione,
droga, etc.), quanto per l’introduzione di nuove tipologie di ‘crimini’. Il
mito della legalità, e la confusione tra vizi e crimini, hanno fatto prosperare
l’idea che la sicurezza potesse essere garantita soltanto ponendo dei limiti e
dei controlli alla libertà individuale.

Quale è il risultato? Miseramente, che si sa che esiste
una quantità difficilmente quantificabile (ma che ci sia lo si può dedurre
dalle spese che le procure sostengono per le intercettazioni) di informazioni
disperse tra vari organi di controllo, che ‘possono’ essere usate. Come, quando
e perché nessuno è attualmente in grado di prevederlo.

Ma che questo inconsulto, inutile e comunque costoso
incremento di regole e di controlli possa essere spacciato da Veltroni per una
politica di ‘vero liberalismo’ è troppo. In genere, inoltre, avviene che prima
si limita l’esercizio delle libertà individuali sottoponendole al controllo di
qualcuno, poi si distingue tra libertà ‘buone’ o ‘cattive’ a seconda di una
presunta etica ispirata da motivazioni di utilità sociale, ed infine,
inevitabilmente, si aumentano le tasse.

Che il liberal Veltroni potesse staccarsi da questo trend
tipico della cultura di sinistra da cui proviene era possibile. Il prezzo
pagato a Di Pietro lascia pensare che sarà comunque molto difficile.