Tre motivi per ritenere che la situazione dell’Italia è diversa da quella di Spagna e Portogallo (e Grecia)

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Tre motivi per ritenere che la situazione dell’Italia è diversa da quella di Spagna e Portogallo (e Grecia)

04 Maggio 2010

L’Italia ha un debito pubblico di 1700 miliardi di euro, il maggiore sino allo scorso anno dell’euro zona e dell’Unione europea. Ora il debito tedesco supera, di non molto, in valore assoluto, quello italiano. Il nostro per altro, in percentuale sul Pil è molto più alto di quello tedesco, essendo il 117% del Pil è il secondo più alto dell’euro zona, dopo quello della Grecia, che è stata oggetto di un mega salvataggio.

E’ dunque ragionevole chiedersi se vi sia un rischio di contagio per l’Italia, dopo la che dalla Grecia il virus del rischio di crisi debitoria è passato al Portogallo e potrebbe avere contaminato la Spagna.

Il Portogallo ha un debito del 77 per cento del Pil e la Spagna poco più del 60%. Ma per il rischio del debito di una nazione bisogna tenere conto anche del debito delle famiglie e delle imprese. E da questo punto di vista la Spagna è in una situazione molto difficile in quanto il suo debito totale, privato e pubblico, è il 300% del Pil, molto più di quello italiano. D’altra parte, il problema della capacità di far fronte al proprio debito da parte di un governo dipende dal suo deficit di bilancio attuale e in prospettiva e del suo tasso di crescita del Pil. Se uno stato ha un deficit contenuto in via di riduzione può far fronte al proprio debito molto meglio di uno stato con un alto deficit che non è in rapida diminuzione. E mentre il primo può assicurare la propria solvibilità senza bisogno di contare su una crescita notevole del Pil in termini reali, il secondo può farlo anche con una crescita modestissima del Pil reale.

L’Italia ha, nel 2009, un deficit di bilancio del 5,2% del Pil, nel 2010 il suo deficit dovrebbe scendere sotto il  5% del Pil e nel 2012 sotto il 3%. Il deficit di bilancio spagnolo dopo esser stato, nel 2009 allo 11,2%  sarà nel 2010 ancora al 10%. E mentre il Pil italiano crescerà nel 2010 in termini reali dello 1%, quello spagnolo scende dello 1%.

Le emissioni di debito pubblico annue di un governo consistono di due componenti: il nuovo debito e il rinnovo del debito in scadenza. Per l’Italia, la durata media del  debito pubblico è di circa 7,5 anni. E’ più alta della media del debito tedesco e di molti altri stati. E ciò dà un notevole margine di sicurezza, perché ogni anno la quota di debito in scadenza è solo il 15,3% del Pil. La Tesoreria del nostro stato inoltre ha un ammontare liquido di riserve di 30 miliardi, per proteggersi da temporanee difficoltà nel collocamento dei titoli. Nel 2010 l’operatore pubblico italiano deve rinnovare un po’ più del 15% del suo debito ed emetterne un altro 5% scarso: in totale un ammontare pari al 20% del Pil. La Spagna ha un debito di poco più del 60 % del suo Pil. Il suo debito da rinnovare è forse il 10% del Pil mentre un altro 10% è di nuova emissione. In totale il 20% del Pil. Ma per la Spagna si prospetta nel 2011 un nuovo elevato deficit e per l’Italia un deficit calante, che converge verso il 3%.

In termini nominali il Pil spagnolo nel 2010, con un tasso di inflazione dello 1,8% e una perdita di 1% nel Pil reale, aumenta dello 0,8% mentre quello italiano con lo stesso tasso di inflazione e l’aumento di 1% del Pil reale, aumenta di circa il 2,8%. Data una crescita del Pil nominale del 2% annuo nel prossimo triennio, anche se l’Italia crescesse in termini reali solo dello 1% all’anno (previsione parecchio pessimistica), alla fine del triennio avrebbe un Pil nominale superiore del 9% all’attuale.

Nel 2011 l’Italia avrà ha un debito attorno al 120% del Pil, ciò significa che se il deficit nel 2011 sarà del 3,5% del Pil il debito decrescerà in percentuale sul Pil in quanto il 3,5% di 120, percentuale dello stock del debito sul Pil è 4,2 e non 3,5. Se il debito passa da 120 a 123,5 e il Pil da 100 a 103,5, il debito scende a 119,3. La percentuale di diminuzione del rapporto debito Pil è 0, 7%.

L’onere del debito italiano sul Pil è destinato a decrescere mentre quello spagnolo è destinato a crescere. Ciò sia perché la Spagna ha una minore crescita del Pil nominale, sia perché il suo deficit in rapporto al Pil cresce a un tasso notevolmente superiore a quello del Pil nominale. E infine, last but not least, perché la percentuale di variazione del suo debito/Pil non va calcolata su un debito superiore a 100% del Pil ma inferiore a 100. Un deficit del 4% del Pil, con un aumento del Pil nominale del 4% fa crescere il debito del 4% del Pil e se il debito è il 60% del PIl, il suo aumento del 4% genera un aumento del rapporto fra debito e Pil  al 61,5. Dunque l’Italia in prospettiva è in grado di pagare gli interessi del suo debito e di rinnovare il proprio debito meglio che ora, mentre per la Spagna vale la considerazione opposta.

Per il Portogallo, in questa tematica, valgono considerazioni analoghe a quelle che riguardano la Spagna. Fra i fondamentali che rilevano, per il debito pubblico di una nazione, è molto importante se una quota elevata di tale debito è nei portafogli di soggetti esteri e se a ciò si accompagna o no una elevata quota di debito estero nei portafogli dei suoi operatori economici. Inoltre è rilevante la bilancia corrente con l’estero: se tale bilancia è strutturalmente in tendenziale pareggio o in avanzo oppure in deficit. Il debito pubblico italiano, per una quota rilevante, è nei portafogli di operatori esteri. Ma le banche, le famiglie, le imprese e le istituzioni finanziarie italiane hanno almeno altrettanto debito estero di buona qualità. Non così Spagna, Portogallo. Ciò deriva dal fatto che la bilancia dei pagamenti correnti con l’estero al netto delle partite finanziarie, per l’Italia è attiva o in pareggio. Il limitato passivo dipende solo dal fatto che gli interessi pagati all’estero superano quelli ricevuti dall’’estero in quanto una parte dei proventi finanziari degli italiani è direttamente reimpiegata all’estero. Invece la Spagna e il Portogallo hanno un disavanzo strutturale delle partite correnti della bilancia dei pagamenti pari al 7-8% del loro Pil (analogamente la Grecia). Tale deficit sistematico di bilancia corrente dei pagamenti è stato ripianato con l’acquisto dell’estero di titoli spagnoli e portoghesi. E ciò ha comportato un accumulo di debito pubblico di questi due stati nei portafogli di operatori esteri. Perciò lo stock di debito estero di questi due paesi è enorme e privo di una rilevante contropartita di crediti spagnoli e portoghesi sull’estero.

La solvibilità di uno stato verso il debito estero dipende non solo dalla capacità del governo di pagare gli interessi e di rimborsare i debiti in scadenza, mediante il suo bilancio pubblico. Dipende anche dal fatto se esso è in grado di ottenere abbastanza capitale freso dall’estero, per ripianare il deficit della bilancia dei pagamenti correnti che è l’interfaccia del deficit pubblico.

Per l’Italia questo non è un problema, lo è per la Spagna e per il Portogallo, a causa del loro deficit di bilancia dei pagamenti. E lo è per la Grecia che deve ridurre la propria domanda globale di consumi e investimenti di almeno il 7-8 per cento, al fine di renderla eguale al proprio prodotto globale. Il problema della Spagna e del Portogallo è analogo. Un deficit strutturale di bilancia corrente dei pagamenti indica che si tratta di una economia che è vissuta strutturalmente  al di sopra dei propri mezzi. Ciò è possibile per un po’ di tempo, ma non in permanenza. Di qui l’elevato rischio di una crisi debitoria di questi stati, innescata dai soggetti esteri, detentori di loro debito pubblico. Essi, temendone l’insolvenza decidono di liberarsene, peggiorando la situazione.

C’è un’ultima considerazione che fa differire la situazione del debito pubblico italiano da quello di Spagna e Portogallo. Ed è il fatto che il governo italiano da molti anni ha un elevato debito pubblico. E ha imparato a gestirlo, sviluppando tecniche appropriate mediante una apposita piattaforma denominata MTS, creata nel 1978. Tramite MTS si è sviluppato un mercato trasparente dei titoli del debito pubblico italiano, con rapporti fiduciari con la clientela dei grandi operatori che vengono fidelizzati mediante l’accesso privilegiato a questo mercato. Il Wall Street Journal ha descritto con ammirazione questo sistema operativo, in un articolo in cui fa risiedere sopratutto in esso, il fatto che il debito pubblico italiano, nonostante un rating un po’ inferiore a quello spagnolo, abbia, rispetto ai titoli pubblici tedeschi, un divario di tassi di interesse minore di quello che ha la Spagna. Indubbiamente ciò è rilevante. Ma, per la credibilità del debito pubblico sono soprattutto rilevanti i fondamentali che ho descritto sopra.

E da ciò si desume che per evitare una crisi del suo debito l’Italia deve attenersi alle regole di bilancio prudenti seguite, durante la crisi, mirando al rientro nel tetto del 3% del rapporto deficit Pil nei tempi previsti nel piano approvato da Bruxelles. L’Italia deve evitare di rilanciare la crescita economica mediante un maggior deficit di bilancio rivolto ad accrescere la domanda di consumi. La supposizione che ciò in seguito comporti una riduzione di tale deficit è opinabile e comunque riguarda il futuro. Questa linea è sbagliata perché genera nell’immediato un maggior deficit che può preoccupare i mercati e può fornire l’innesco per operazioni al ribasso sui titoli del nostro debito pubblico. Ed è una linea sbagliata anche perché comporta un peggioramento della bilancia corrente dei pagamenti.

La domanda globale va rilanciata alleggerendo le imposte che distorcono l’economia e riducono la competitività delle imprese, con una simultanea riduzione del debito pensionistico. E ciò puntando sulla domanda estera e sugli investimenti, non sulla domanda di consumi e pertanto non su grandi riduzioni indifferenziate dei tributi sul fattore lavoro, ma su riduzioni mirate, graduali, scaglionate nel tempo, nelle imposte sui costi di produzione e sulle componenti dei salari legate alla produttività. La politica che va svolta deve avere natura strutturale, deve riguardare, in genere, le infrastrutture, le liberalizzazioni, la flessibilità, la produttività, nell’ambito di prudenti politiche del bilancio. E ciò con un governo autorevole che mantiene il pieno controllo della situazione. La credibilità, costruita negli anni, si può perdere in fretta. Lo insegnano casi come quello della Spagna, il cui modello economico, sino a poco tempo fa, era considerato un esempio da imitare.