Tremonti ha ragione: la riforma delle pensioni non è un’urgenza

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Tremonti ha ragione: la riforma delle pensioni non è un’urgenza

19 Marzo 2010

Il Ministro dell’Economia ha ancora una volta ribadito, l’altro ieri, alla Camera, che il sistema previdenziale italiano “è tra i più stabili d’Europa”, polemizzando poi con l’opposizione per aver eliminato, imperante il Governo Prodi, il cosiddetto “scalone”,  introdotto nel 2003 dal Ministro Maroni, in sede di interventi manutentivi della Riforma Dini-Treu del 1995.

Sotto il profilo tecnico non si può che convenire con l’On.le Tremonti.

Sgombriamo subito il campo dalla questione meno importante: gusto della polemica a parte, va francamente detto che se l’introduzione, da parte della Riforma Maroni del 2003, del cosiddetto scalone sarebbe certo potuta intervenire secondo modalità tecniche meno brutali – e, quindi, con un minimo di più ragionevole gradualità – la sua sostituzione, nel 2007,  con i cosiddetti “scalini”, ad opera del Ministro Damiano, non è stata una scelta commendevole, avuto riguardo agli effetti immediati. Gli scalini, infatti, hanno veicolato preziose risorse economiche per consentire ancora, per un certo numero di anni, pensionamenti di coorti di lavoratori in età troppo giovanile, salvo “riscattarsi” poi, nel medio/lungo periodo, divenendo una modalità di accesso ai trattamenti ancora più severa di quella di Maroni. Insomma, un mix di demagogia contingente e di severità, occultata dai tempi lunghi.

Nelle dichiarazioni del Ministro dell’Economia, non a caso reduce da un confronto in sede europea, il dato importante è, però, quello circa la stabilità o sostenibilità, che dir si voglia, del nostro sistema previdenziale. Tale affermazione ha un corollario ovvio, iteratamente ribadito dal Ministro Sacconi e più volte sottolineato dal nostro giornale: non esiste, oggi, un’emergenza Paese che riguardi una riforma dell’ordinamento pensionistico nazionale, volta a renderlo sostenibile nel lungo periodo. Per questo,  risultano davvero fuori luogo le recenti, opposte, affermazioni, operate in una sede convegnistica milanese, del Presidente della Camera, proprio circa una presunta necessità di urgenti misure  sulla materia pensionistica, volte a riequilibrare il sistema.

L’intervento invocato,  in realtà , è già stato compiuto nel nostro Paese nel corso di un lungo e accidentato cammino, avviato dal Governo Amato – essendo Ministro del Lavoro Nino Cristofori – nei drammatici mesi del 1992, sulla spinta di un’emergenza economica di portata latino americana. Se, infatti, qualche anno dopo, i mercati ed i risparmiatori di tutto il mondo si dovettero dolorosamente misurare con i “Tangobond”, frutto avvelenato della bancarotta argentina, fu merito dei durissimi provvedimenti del Governo Amato – dall’odiosa patrimoniale alla prima contestatissima riforma delle pensioni del novembre/dicembre ‘92- se non si ebbe, in allora, una bancarotta italiana, con la conseguente insolvenza di quelli che, forse, si sarebbero chiamati i “Tarantellabond”.

Pochi anni dopo – si è nel 1995 – , sempre sulla spinta della grave contingenza economica e pungolati, a dir poco, dagli organismi internazionali, primo fra tutti il Fondo Monetario,  il Governo Dini, essendo Ministro del Lavoro Tiziano Treu, riuscì a realizzare una riforma che è tuttora solido asse portante dell’ordinamento pensionistico di base italiano, ponendoci, mercè anche successivi interventi manutentivi del sistema, in una posizione di avanguardia nell’ambito dell’Unione.

Senza entrare analiticamente nel merito del provvedimento, è sufficiente ricordare come esso, sia pure con un’estrema gradualità, connotata da una lunga fase di transizione, abbia introdotto, dal 1° gennaio 1996, il metodo contributivo per il calcolo degli assegni pensionistici di base.

In sintesi si ha:

–                     il calcolo della pensione in ragione del montante virtuale dei contributi versati durante l’intera vita lavorativa (33% per i lavoratori dipendenti, 20% per i lavoratori autonomi), rivalutati nel tempo in ragione alla media della variazione del PIL nel quinquennio precedente;

–                     la trasformazione del montante contributivo virtuale in rendita tramite l’uso di coefficienti che riflettono la speranza di vita dell’iscritto al momento del pensionamento. 

Successivi interventi manutentivi hanno compiuto, sia pure con disallineamenti e contraddizioni contingenti, dovuti all’avvicendarsi delle maggioranze,  aggiustamenti del sistema, finendo per determinare, in buona sostanza, un progressivo elevarsi delle soglie di accesso ai trattamenti pensionistici e l’obbligo di un aggiustamento triennale dei richiamati coefficienti.

Circa i requisiti di maturazione del diritto pensionistico, il Ministro Sacconi, con norma dell’estate dello scorso anno, ha introdotto un’importante misura consistente nell’adeguamento automatico del requisito dell’età, a far tempo dal 2015. Questa disposizione, costringendo i singoli a procrastinare nel tempo il pensionamento, di fatto attenuerà l’effetto della contrazione dell’ammontare dei trattamenti dovuta alla variazione periodica dei coefficienti di conversione, in precedenza ricordata. Ciò, tra l’altro, darà stabilità al tasso di sostituzione dei trattamenti di base, sostanzialmente fissando altresì il ruolo economico che è chiamata ad assolvere la previdenza complementare, allorquando il sistema applicherà, in via generalizzata ed esclusiva, il metodo di calcolo contributivo (intorno al 2040, come si evince dalla tabella riportata di seguito, frutto di elaborazioni della Ragioneria dello Stato).

Tassi di sostituzione per generazioni

Età al pensionamento 63 anni (% ultima retribuzione/reddito)

 

2020

2030

2040

2050

2060

Dipendenti

62,1

57,0

52,8

51,8

50,8

Autonomi

45,4

35,3

32,1

31,4

30,8

 

         

                                                                             

Tassi di sostituzione medi come quelli sopra riportati determinano, come si avrà modo di dettagliatamente approfondire in altra circostanza, una stabilità nel tempo della spesa pensionistica rispetto al PIL e, quindi, la sostenibilità del sistema, come appunto giustamente e orgogliosamente fatto notare dal Ministro Tremonti, non a caso, come si diceva, reduce da un confronto tra Ministri dell’economia in sede europea, ove vi sono Paesi con situazioni previdenziali tuttora telluriche.

Detto questo, certamente non manca la necessità di compiere interventi nell’ordinamento previdenziale, ma essi non attengono alla tematica della ricerca della stabilità/sostenibilità del sistema. Allorquando saranno auspicabilmente realizzati, andranno, per l’appunto, coordinati e resi compatibili con essa.

Dette necessità si possono così sintetizzare:

a)     adeguata tutela del potere di acquisto nel tempo degli assegni pensionistici  di base;

b)    avvio di valutazioni circa il sostegno da fornire ai futuri pensionati, le cui vicende lavorative determino forti momenti di discontinuità, che li renderanno titolari di trattamenti pensionistici di base di ammontare significativamente al di sotto della media sopra prospettata;

c)     sviluppo di  serie e diffuse coperture previdenziali complementari, capaci di corrispondere rendite del valore del 20/25% del reddito lavorativo finale.

Circa i problemi da ultimo enunciati, primo tra tutti quello della dinamica dei trattamenti pensionistici, vera e propria battaglia di civiltà,  si potrà ritornare a parlare, nel dettaglio, in occasione di altri prossimi interventi.