Tutte le strade portano a Milano. O quasi

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Tutte le strade portano a Milano. O quasi

09 Giugno 2008

C’è una domanda fondamentale per l’organizzazione della Expo 2015 di Milano, ed è quella fatta da Bruno Ermolli quando, in un recente convegno, si è chiesto come la Milano che ha vacillato durante la settimana del mobile perché visitata da 50 mila persone per sette giorni, potrà affrontare centocinquantamila persone in più che giungeranno (auspicabilmente) in città per sei mesi di fila tra sette anni. 

Negli anni più recenti nel capoluogo lombardo è stato compiuto un vero e proprio miracolo: si è deciso subito dopo il 2000 di spostare una Fiera secolare in un’area ex industriale, quella di Rho-Pero, rimuovendola da un sito abbastanza centrale a una zona periferica ampiamente da strutturare e ristrutturare. E nel giro di tre anni questa decisione è diventata realtà: con tanto di capannoni sormontati dalla splendida tettoia ondulata di Massimiliano Fuksas, con una linea di metrò funzionante che congiungeva la nuova sede alla vecchia, con una superoperazione finanziaria che trovava le risorse per la nuova Fiera vendendo i terreni della Vecchia Fiera. Tutto in tre anni. Appunto un miracolo su cui hanno pesato: la bravura dei due protagonisti, Luigi Roth, il responsabile della holding, e Claudio Artusi, il capo della struttura operativa; la cocciutaggine di Gabriele Albertini; l’impegno strategico di Formigoni che assumendosi l’incarico di realizzare un accordo di programma intorno al progetto, ha messo insieme stato, regione, comuni e province di destra e di sinistra, enti di diversa natura e ha pilotato politicamente tutta l’operazione. Chi ha partecipato all’impresa ha detto che il risultato è stato possibile anche perché tutto è stato fatto così in fretta e all’improvviso che non c’è stato il tempo per i vari “interessi” economici, corporativi, localistici di scatenarsi come succede normalmente in Italia. 

Eppure anche questo “miracolo”, sul piano dei collegamenti viabilistici scricchiola almeno un po’: come potete comprendere parlando anche solo cinque minuti con un taxista ambrosiano. Manca innanzitutto la via di collegamento interurbana della area settentrionale di Milano, quella che viene chiamata la Gronda nord osteggiata dagli abitanti dei pochi quartieri interessati: non molte persone ma che bloccano da decenni questo intervento decisivo. Mancano un paio di autostrade finite nel blocco degli interventi in maturazione da anni in Lombardia, manca il completamento della tangenziale che serve tutta la città. La metropolitana dalla sua fa il proprio dovere, anche se gli accessi potrebbero essere più comodi, ma i collegamenti ferroviari, anche per il comparto merci che pure serve con una buona soluzione la nuova Fiera, sono deficitari. 

E così anche il gioiellino della politica urbana milanese e lombarda, il polo Rho-Pero, per alcuni versi scricchiola. Così come avviene in parte anche con la Malpensa, che pure è servita con una linea ferroviaria all’altezza di quelle europee ma non adeguatamente collegata alle linea forti del sistema ferroviario nazionale. Infatti il trenino di congiungimento fa parte delle ferrovie regionali. Le esperienze della Nuova Fiera e della Malpensa vanno studiate con cura per capire che cosa si può e si deve fare per la nuova Expo. E la soluzione non si troverà senza una riflessione più ampia sull’andazzo generale che riguarda gli interventi pubblici in Italia. 

Si dirà che altre manifestazioni di massa si sono tenute in questo ultimo decennio, anche con buoni risultati di efficienza: dal Giubileo di Roma alle Olimpiadi invernali di Torino. Ma si è trattato di eventi o più circoscritti o di durata assolutamente non comparabile. Intervenire su una realtà come quella milanese, su una città  a cui ogni giorno accedono oltre cinquecentomila ospiti da fuori, è senza dubbio problema complesso: e la prima difficoltà è istituzionale. Dagli anni Settanta in poi moltiplicando i livelli di decisione amministrativa, politicizzando anche istituzioni che avevano avuto una gestione essenzialmente tecnica (come per esempio le ferrovie dello stato o l’ANAS), facendo crescere un’attitudine sfrenatamente localistica si è colpita la possibilità di dotarsi di grande infrastrutture in punti decisivi con tempi brevi e procedure semplici. E tra questi aspetti quello più negativo è la difficoltà di coordinamento tra i diversi soggetti, ognuno dei quali segue una sua logica e non accetta interferenze “protetto” da un  qualche potere politico, economico o sindacale.

Il sindaco di Milano sembra volere dare una risposta a queste difficoltà di fondo, affidandosi a una gestione unificata e centralizzata: un amministratore unico con sotto alcuni direttorati. Il tutto consolidato dai poteri affidati dal governo a un commissario straordinario, nel caso la stessa Letizia Moratti. Poteri straordinari e semplificazione della linea di comando sono utili naturalmente ma non risolutivi se di fatto si aggiunge essenzialmente un altro soggetto a quelli che già abbondano sul territorio lombardo e che sono in grado di paralizzare alla fine le decisioni necessarie. Se non si segue la logica degli accordi di programma, se non si costruisce una governance affidata a tutti i soggetti che possono mettere il becco nelle vicende Expo, i rischi paralisi sono fortissimi. Insomma non basteranno capacità manageriali, sarà necessaria anche qualche dote politica. Si perdoni la parolaccia.