Tutti vogliono una poltrona, anche se non sanno bene cosa farne

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Tutti vogliono una poltrona, anche se non sanno bene cosa farne

25 Agosto 2011

Nell’articolo, Se il crollo del mercato trasforma la democrazia, La Repubblica 21 agosto 2011, Aldo Schiavone affronta <un tema che sembrava a molti dimenticato> e che <sta ritornando in questi giorni al centro dell’attenzione, spintovi dalle drammatiche vicende dell’estate: i rapporti fra politica ed economia in una democrazia matura>.

Sulla scia delle riflessioni di Roberto Esposito sulla sovranità e la sua crisi, il giurista rileva che <di sicuro qualcosa di profondo sta mutando nell’equilibrio dei poteri che reggono l’Occidente, mentre l’impressione di un ritrarsi sconfitto della politica – di ogni politica – innanzi all’invasività di un gioco finanziario autoreferenziale, ingordo e tendenzialmente antidemocratico appare sempre di più come un destino comune, e non soltanto italiano>. A rendere il quadro meno fosco, però, concorrono a suo avviso due fattori. Il primo è che <oggi non c’è lavoro senza innovazione tecnologica e intensità di conoscenze. E queste a loro volta non si creano senza capitale e mercati finanziari. Il problema non sta dunque nella separazione – nel presunto abisso – fra politica ed economia, che se ne andrebbero ciascuna per le sue, l’una sempre più armata, l’altra più impotente, ma al contrario si trova nelle modalità del loro intreccio. La verità è che siamo entrati in una nuova epoca, segnata non dalle dicotomie ma dalle integrazioni: l’età della democrazia complessa e della tecnologia>. Il secondo è il possibile superamento della <dissimmetria fra la pesante localizzazione "nazionale" del comando politico e la leggerezza globalizzata della nuova economia> da parte di una politica in grado di <disegnare lo scenario che ci aspetta> e di <aprire una grande stagione di riequilibrio e di assestamento globale, di crescita sostenibile e di riduzione delle diseguaglianze – come è realistico e del tutto alla nostra portata – o rimettersi ostinatamente, come se nulla fosse, sulla via della rottura e della lacerazione>.

E’ un discorso, questo, che forse riescono a intendere Giuliano Amato, Giorgio Ruffolo e pochi altri repubblicones ma che, per l’uomo della strada, è di ‘colore oscuro’. ‘Crescita sostenibile’, ‘riduzione delle diseguaglianze’,’assestamento globale’: ma che significano questi topoi a effetto che, ripetuti ossessivamente nei convegni di studio, rendono a Morfeo le sue vittorie fin troppo facili? Se uno vuole libertà di accesso per tutti gli immigrati (Antonio Martino) e un altro vuole applicare rigidamente la vecchia legge Bossi-Fini; se uno vuole aprire i mercati a ogni prodotto del pianeta e un altro chiede barriere doganali contro la concorrenza sleale, se uno vuole tornare all’oro e un altro no, si comprende bene la posta in gioco. Ma in mancanza di un solo esempio di auspicabili politiche concrete, come fugare la sensazione che ci si trova dinanzi al tipico intellettuale italiano che <porta avanti> discorsi <a monte> e <a valle> e che, nei fumi della complessità dei processi planetari in corso, nasconde il fatto che neppure lui ha capito nulla del mondo in cui viviamo ma non rinuncia a proporsi come guida dei popoli in virtù dell’appartenenza a un’aristocrazia dello spirito di cui il linguaggio iniziatico e allusivo è il segno inconfondibile.