Umbria, soldi contro il bullismo omofobico (che non c’è) e non alle famiglie
09 Dicembre 2017
di Carlo Mascio
Fare una legge e poi studiare se il fenomeno da normare esiste e come si manifesta. Di per sé suona un po’ strano. Dovrebbe essere il contrario: studiare un fenomeno e poi, eventualmente, legiferare. Ma, a quanto pare c’è chi, come la Regione Umbria, targata Pd, ha preferito seguire una strada diversa. Se poi il tema in questione riguarda la prevenzione e il contrasto al bullismo omofobico, allora il tema diventa ancora più interessante.
In Umbria, l’11 aprile scorso è stata approvata la legge regionale “Norme contro le discriminazioni e le violenze determinate dall’orientamento sessuale e dall’identità di genere”. In poche parole, una legge per combattere l’omofobia. E proprio sotto l’egida di tale provvedimento, il 13 novembre Regione Umbria, Università degli Studi di Perugia, Ufficio scolastico regionale, Garante dei minori e associazione Omphalos, hanno sottoscritto uno schema di accordo “per la realizzazione di attività di analisi, studio, ricerca, formazione e sperimentazione finalizzata alla prevenzione e al contrasto del fenomeno del bullismo omofobico”. Ma, come ha segnalato il consigliere regionale Sergio De Vincenzi (eletto nella lista Civica Ricci Presidente, e a sua volta Presidente dell’associazione Umbria Next, recentemente federato alla rete di Idea) che già nell’aprile scorso si è battuto contro la legge sull’omofobia, è proprio quest’accordo a presentare qualche anomalia.
Anzitutto perché se da un lato la convenzione prevede uno stanziamento di 40mila euro per studiare il fenomeno del bullismo omofobico da parte di UniPg e Omphalos, e sperimentare interventi sui ragazzi nelle scuole, dall’altro la legge regionale a cui fa riferimento prevede che interventi del genere siano totalmente gratuiti. Ma non è tutto. De Vincenzi evidenzia come, in base all’accordo, le attività che dovrà svolgere l’associazione Omphalos, ovverosia “supportare nella predisposizione delle linee generali e dei contenuti del progetto con la supervisione del Dipartimento Fissuf, collaborare al coordinamento tra i diversi soggetti, individuare i volontari, partecipare alle attività di formazione rivolte al personale scolastico e agli operatori socio-educativi, collaborare alla stesura e alla diffusione del materiale informativo, e collaborare nei contatti con gli organi di stampa” non sembrano essere ricomprese tra le attività previste dall’articolo 6 della legge 3/2017. Per di più, la stessa legge precisa che i soggetti promotori di eventuali collaborazioni con le associazioni dovrebbero essere le Aziende sanitarie territoriali e i servizi socio-assistenziali e socio-sanitari, e non la Regione.
“Lascia perplessi e, soprattutto, preoccupati – commenta De Vincenzi – il fatto che di fronte alle tante emergenze che attanagliano la nostra regione, dal lavoro ai trasporti, dalla coesione sociale alla sanità sino alla tutela dell’ambiente, solo sul tema delle discriminazioni legate dell’orientamento sessuale e l’identità di genere si decida di mobilitare tante forze istituzionali in maniera imponente. Quasi fossimo alle prove generali di pensiero unico”. E non è un esagerazione evocare il pensiero unico. A farlo capire ancor meglio è quanto previsto dal nuovo schema operativo propedeutico alla realizzazione degli interventi anti-omofobia disposti dalla legge regionale approvato il 4 dicembre scorso. Infatti, tra gli attori istituzionali coinvolti figurano tutti (dai Carabinieri, alla questure e prefetture, fino ad arrivare, ovviamente, alle associazioni Lgbt), tranne le associazioni delle famiglie, come invece disposto dall’articolo 10 della legge che ne prevede la presenza nelle attività di monitoraggio dell’osservatorio. Le uniche associazioni familiari coinvolte sono quelle Lgbt (A.Ge.Do Terni e Famiglie Arcobaleno).
A questo punto, parlare di pensiero unico è tutt’altro che una semplice illazione. Anche perché, in fin dei conti, come ha evidenziato lo stesso De Vincenzi, ad essere discriminati ora sono le altre associazioni dei genitori che non possono avere voce in capitolo. In ogni caso, a prescindere da quali esiti avranno gli studi e le ricerche condotte dagli attori in questione, una cosa appare evidente: lavorare sul problema (il cosiddetto bullismo omofobico) escludendo i principali attori educativi (i genitori), significa con ogni probabilità non volerlo risolvere. Alla luce di tutto ciò, pensare che tutto sia fatto solo per ragioni ideologiche non è certo roba da visionari.