Un consiglio a Obama: regali il Nobel ai dissidenti dell’Iran

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Un consiglio a Obama: regali il Nobel ai dissidenti dell’Iran

11 Dicembre 2009

Quando, lo scorso ottobre, il comitato del Premio Nobel annunciò che il vincitore per il 2009 era Barack Obama, il presidente commentò che si sentiva "sorpreso e in debito" per la decisione di assegnargli quel riconoscimento nonostante avesse ancora ottenuto così poco, a quella data, nella sua ricerca della pace. Definendolo "una chiamata ad agire e affrontare con decisione le sfide del Ventunesimo secolo", Obama aggiungeva: "Non credo di meritare di essere in compagnia dei personaggi di importanza storica che sono stati onorati di questo premio".

Molti ritennero che il presidente era nel giusto, e la scelta di premiarlo venne largamente criticata come un gesto senza molto senso da parte del Comitato dei Nobel – una scelta apparsa più come una critica al predecessore di Obama che il riconoscimento di importanti risultati in politica estera, che purtroppo devono ancora arrivare. Però, adesso che il presidente ha ritirato il premio ad Oslo, ha un’opportunità per dare un significato a quel gesto, e diventare degno dei suoi compagni Premi Nobel.

Uno dei personaggi di importanza storica che l’hanno preceduto nella lista dei Nobel è stato vittima di un’offesa senza precedenti. Il Premio Nobel 2003 nonché il più celebre sostenitore dei diritti umani in Iran, Shirin Ebadi, è stata recentemente derubata della sua medaglia, assieme a diversi altri riconoscimenti (tra i quali anche una Legion d’onore) per ordine della Corte rivoluzionaria di Teheran. La Repubblica islamica d’Iran ha saccheggiato il conto in banca del marito, sequestrandone i risparmi. Il suo stesso conto in banca è stato congelato e la sua pensione sospesa. Il regime afferma che la Ebadi ha un arretrato di 410 mila dollari con l’erario; ma si tratta evidentemente di un’accusa senza fondamento nonché dell’ennesimo tentativo da parte di Teheran di zittire uno dei suoi più espliciti ed efficaci critici. L’organizzazione per i diritti umani della Ebadi, a Teheran, è stata chiusa di recente, e tre suoi colleghi sono stati arrestati. Lei è ancora libera; ma solo perché non è in Iran.

E’ facile prevedere che, al suo ritorno, verrà messa in galera. La sua triste condizione è quella di tutto l’Iran, una nazione guidata da un regime tirannico con cui Obama ha tentato di intavolare un dialogo sin da quando ha assunto l’incarico, in gennaio, ma senza successo. Obama è il leader del mondo libero – anche se il sostegno che ha dato al tormentato movimento per la democrazia in Iran, piuttosto tiepido, potrebbe suggerire che non si senta a suo agio in un tale ruolo. La signora Ebadi è il simbolo della sfida a un regime liberticida, un regime che – per usare le stesse parole del presidente – rappresenta una delle "sfide del Ventunesimo secolo", con la quale Obama si deve ancora confrontare.

Lui e la Ebadi hanno in comune un Premio Nobel. Che questo premio sia, allora, il punto di partenza per colmare il vuoto che separa gli sfortunati sforzi del presidente per agganciare gli oppressori della signora Ebadi dallo storico impegno di portare la libertà nel mondo che l’America, storicamente, si è assunta. E che sia anche un modo per trasformare la scelta del Comitato del Premio Nobel in un potente messaggio in favore della pace, perché il miglior modo di promuovere la pace è quello di difendere la libertà. La strategia presidenziale per agganciare la Repubblica islamica ha finora dato risultati trascurabili sul problema del nucleare iraniano, ponendo però il regime al centro del dibattito internazionale.

Naturalmente, l’oppressione interna non è colpa di Obama; ma la sua prematura premiazione e la sua promessa di utilizzarla come uno sprone per ottenere risultati importanti gli offre l’opportunità, dopo tanti equivoci, di far capire agli iraniani quale sia la sua posizione in merito alla questione fondamentale della loro libertà. A Oslo, quando il presidente ha ricevuto la medaglia, avrebbe dovuto donarla alla signora Ebadi, e invitarla alla Casa Bianca per consegnarla a lei di persone. Obama ha già detto che il milione e 400 mila dollari legati al premio andranno in beneficenza. A Oslo, Obama avrebbe dovuto chiedere al Comitato del Premio Nobel di usare quella somma per pagare le multe addossate alla Ebadi, e spendere quel che resta a sostegno della causa per i diritti umani in Iran.

L’Iran, ovviamente, non smetterà di starle addosso. Il regime potrebbe anche usare quanto sopra per accusare la Ebadi di tradimento, per essere nientemeno che un agente al soldo del presidente degli Stati Uniti! Però il presidente avrebbe potuto trasmettere un potente messaggio al mondo: che la pace non può essere ottenuta accettando l’oppressione. E, ai perseguitati dissidenti iraniani, avrebbe potuto dare il segnale che l’America resta ferma dalla parte della libertà nel loro paese.

Tratto da Wall Street Journal

Traduzione di Enrico De Simone