Un Conte senza contea

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Un Conte senza contea

24 Maggio 2018

Un dato è certo: l’Italia, a meno di clamorosi colpi di scena last minute, avrà presto un governo. Finalmente, verrebbe da dire, dopo due mesi abbondanti dal fatidico 4 marzo. Con l’incarico affidato ieri dal Presidente Mattarella, Giuseppe Conte, il professore-avvocato scelto dalla maggioranza gialloverde, sarà il prossimo Presidente del Consiglio. Le certezze, almeno fino ad ora, si esauriscono qui, lasciando spazio all’ignoto.

Ignoto che, per dirla tutta, ha spaventato anche Mattarella: il silenzio del Colle dalle consultazioni fino alla convocazione di Conte alle 13 di ieri è la chiara dimostrazione che tutti i dubbi non sono stati fugati. E non parliamo tanto delle chiacchiere gossippare che si sono levate sul curriculum del professor Conte (che forse qualche peccato “veniale” l’ha commesso), quanto invece della tenuta politica dell’operazione.

Non passa certo inosservata l’irritazione del duo Di Maio-Salvini quando i cronisti gli chiedono se il neo presidente incaricato sia solo un “mero esecutore” telecomandato dalla maggioranza pentaleghista. “Conte non sarà mero esecutore del contratto” dichiara piccato Salvini. Più delicato Di Maio: “I ministri li scelgono Mattarella e Conte”. Come dire: tranquilli, non facciamo tutto noi. Eppure sin dalle prime battute tutto fa presagire il contrario.

Volendo tornare ai dati certi, Di Maio e Salvini hanno stipulato il famoso “contratto di governo” alla cui stesura Conte ieri ha sì confermato di aver partecipato, ma sicuramente non ne è stato l’attore principale. Il suo nome è stato reso pubblico solo dopo. “Prima il programma poi i nomi” è il mantra pentaleghista. Principio sul quale si può essere d’accordo. Un po’ meno se i nomi scelti più che protagonisti dovessero assomigliare a mere comparse. “Porrò il contratto alla base del programma di governo” ha dichiarato infatti Conte all’uscita dal colloqui con il Presidente della Repubblica, leggendo un comunicato: quirinalizio (e europeista) all’inizio e pentastellato alla fine (“avvocato del popolo” rievoca tanto lo stile della comunicazione 5Stelle). Alla luce di ciò, dire voler battere i pugni sui tavoli bruxellesi, salvo poi mandare ai tavoli che contano un proprio esecutore, non è proprio il massimo (specie se si è detto tutto e il contrario di tutto sui i famosi governi “a guida tecnica”).

Sia ben chiaro: nessuno ha la sfera di cristallo per dire come andranno a finire le cose. E sicuramente se il “cambiamento”, quello che farà bene all’Italia e agli italiani ci sarà, nessuno avrà da dire qualcosa in contrario. Certo è che presentarsi come il “governo del cambiamento” con un tecnico al timone, esecutore dei comandi dimaio-salviniani e magari in continua balia delle tempeste scatenate dalle componenti pentastellate e leghiste qualora non dovesse andargli a genio qualcosa (anche perché è vero che il contratto c’è ma le vaghezze del “come” tradurre tutto in pratica si dovranno misurare poi con l’azione di governo), potrebbe rievocare trascorsi governativi non troppo lontani (vedi il governo clone Gentiloni). Se così fosse, il buon Giuseppe sarebbe sì Conte ma praticamente senza contea.