Un elenco delle ragioni per cui “Vieni via con me” è stato un successo
30 Novembre 2010
A ‘sto paese – come direbbe Pigi Bersani, a cui bisogna insegnare che gli aggettivi dimostrativi (e i partiti che guida) dovrebbero avere una testa – manca la capacità di ammettere che le cose buone le fanno anche “gli altri”. Si chiamino avversari politici o altri maestri, altri autori tv. Nello specifico del territorio di questi ultimi, purtroppo tocca riconoscere che “Vieni via con me” è un esempio da copiare, e non perché segni la storia del fare tivù; solo perché è il frutto di una squadra che ha idee (contestabili per quanto si voglia), che è affiatata, vede il mondo in una certa maniera e lo vuole raccontare nel modo meno “terzo” possibile.
Allora, se giudizio e umiltà pretendono che si riconosca la bontà delle cose fatte bene da altri, lasciateci salutare il programma di Fazio e Saviano con un elenco. Sì, pure noi; senza farlo con l’insipienza di chi si uniforma alla “moda”, ma con lo spirito di chi riconosce che quella della lista sia una formula efficace per enumerare le ragioni per cui vale la pena che “Vieni via con me” continui; e che sia affiancato da una sua copia non sessantottina. E’ bene che la trasmissione di Fazio e Saviano non si spenga alla quarta puntata, e che gli architetti della tv di destra si inventino un format uguale e contrario, perché:
– Fazio deve comprendere che è una baggianata dire “non siamo pro morte se abbiamo ospitato Mina Welby e Beppino Englaro”, con questo negando ostinatamente la possibilità a una voce pro vita di intervenire in trasmissione. Chi non tutela le ragioni della vita (non dell’accanimento terapeutico, ma del sostegno appassionato alla sofferenza, fino alla più invalidante) perora la causa dell’eutanasia. Non saranno i falsi sillogismi di Fazio ad alterare un dato di realtà;
– perché dovrebbero essere (anche) i “nostri” a ricordare in prima serata Walter Tobagi, non lasciando a La7 o al duo di Raitre il monopolio della rievocazione di un giornalista senza curve sulla schiena;
– perché la lista di Benedetta Tobagi su ciò che le ha lasciato il padre conta poche iperboli, giacché il suo rotondo babbo aveva il merito di praticare le cose non comode che sosteneva, sostanziando frasi altrimenti retoriche;
– perché Roberto Saviano, con il monologo sui ragazzi della casa dello studente dell’Aquila, uccisi dal terremoto e dall’infamia dei pilastri di burro, ha costruito un pezzo su un tema che meritava di essere ritirato fuori; per non lasciarlo soltanto ai racconti a caldo, magari conditi da apposito “plastico” di balsa;
– perché l’elenco di ciò che si vede per strada a Torino, Kabul e sotto l’asfalto di Bucarest sarà pure terzomondista e donmilaniano; ma ha il difetto di essere anche vero. Peccato che l’adesione al reale venga banalizzata dal filtro per cui ogni stortura di questo mondo è addebitabile all’Occidente profittatore e berlusconiano;
– perché la lista delle ferite di una scuola della periferia napoletana (monnezza, camorra, assenza di supplenti e di insegnanti di sostegno) deve essere urlata da qualsiasi italiano, di ogni estrazione politica; rinunciando alla pantomima per cui i compagni diranno che è colpa della Gelmini, e gli amici della Gelmini replicheranno che è responsabilità esclusiva del soviet Bassolino-Iervolino;
– perché Domenico Starnone non può raccontare la scempiaggine che la “scuola peggiore” è quella che ferocemente sega le gambe di piccoli ciucci, e che la “scuola migliore” accompagna tutti, sacralizzando i disastri prodotti dal ’68, sul quale solo Starnone non apre gli occhi; o dire che la “scuola migliore” non insegna solo “la mia religione” ma aiuta a “usare la testa”, rispolverando un approccio di fideistico razionalismo che neanche gli adepti dell’UAAR;
– perché Piero Grasso non può fare comizi sui bisogni per combattere la criminalità organizzata, prendendo applausi dallo studio su “bavagli”, intercettazioni, leggi ad personam, e non citando uno – dico uno – degli eccellenti risultati prodotti dal governo sul fronte antimafia; e allora dov’è il “Vieni via con me” dei nostri? Quello che non vende le listarelle riparatorie del ministro Maroni, con tre minuti a disposizione per illustrare due anni e mezzo di arresti e di tesori criminali prosciugati, ma dà fiato e passione a un tema che merita prime serate e bravi affabulatori;
– perché la destra di ultimo conio (dal ’94 ad ora) deve chiudere in una cantina – e possibilmente scancellare – i bavosi che hanno conquistato posizioni da sogno, perfino le chiavi della comunicazione oggi pidiellina; e le creature transgeniche che hanno ridicolizzato la destra, rappresentate da un guitto che cerca sfascio e gloria;
– perché Fazio e Saviano non possono rubarsi Baggio, Fellini, De Andrè, senza che questa destra per una volta se ne appropri affiancandoli a Pound, Burke, Spengler. Questa destra che ha la iattura di essere guidata da un duce che non comanda. E che fa andare in video gente (vivaddio non tutti) di cui vergognarsi;
– perché siccome la destra delle televisioni e dei libri non cambia e non cambierà (e la vorremmo ancora berlusconiana, ma non più coi preti mancati o i lacchè biliosi nei salotti con telecamera), vogliamo vedere ancora Fazio e Saviano su Raitre.