Un nuovo scandalo travolge il partito di Erdogan, mentre l’Europa si allontana

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Un nuovo scandalo travolge il partito di Erdogan, mentre l’Europa si allontana

27 Settembre 2008

L’inchiesta di una corte tedesca su un ente islamico di carità in Germania si è trasformata in uno scandalo politico che travolge la Turchia, minacciando la reputazione di Erdogan e del suo partito. Secondo l’inchiesta quei fondi sarebbero stati dirottati in Turchia da alti funzionari dell’AKP a scopi politici. Il possibile coinvolgimento del premier nell’inchiesta fa infiammare le polemiche sulla gestione del potere all’interno dell’AKP. Erdogan interpreta lo scandalo come l’ennesimo attacco politico contro l’AKP e accusa la stampa che segue l’inchiesta di fare propaganda contro il governo. Così lo scandalo politico scatena il dibattito sulla libertà di stampa e i suoi rapporti con il potere politico. Mentre il faticoso cammino della Turchia verso l’Europa è ancora fermo alla questione di Cipro, la Turchia riscopre quanta strada resta ancora da fare per raggiungere una democrazia occidentale.

Lo scorso 17 settembre il Tribunale Regionale di Francoforte ha emesso tre severe condanne per il presidente, l’ex presidente e il contabile del “Deniz Feneri e.V.”. E’ un ente riconosciuto dalla legge tedesca per raccogliere donazioni per l’islam in Germania e Olanda tramite un programma televisivo. Per la Germania questo è il più grande caso di corruzione e riciclaggio di denaro sporco in cui è coinvolto un ente benefico da cui oltre quattordici milioni di euro sono stati trasferiti in Turchia. Quindi l’inchiesta tedesca rappresenta soltanto il primo passo.

Secondo gli inquirenti di Francoforte l’ente di carità era un canale finanziario illegale che sottraeva fondi per dirigerli ad alte gerarchie del governo turco. Per trasferire i fondi era stato creato un sistema di società ombra a cui veniva trasferita mensilmente la raccolta filantropica e di cui erano azionisti esponenti di primo piano dell’establishment AKP. Questa triangolazione di fondi aveva il suo vertice in due figure principali: Zahid Akman e Zekeriya Karaman, i cui ruoli esemplificano il funzionamento di questo meccanismo. Akman è uno dei principali azionisti delle società ombra che ricevevano i fondi dal Deniz Feneri. Oltre ad essere stato un anchor-man, è stato anche un imprenditore edilizio proprio in Germania, dove aveva fondato una società che incassava forti somme di denaro senza però costruire mai una casa. Ma soprattutto Akman oggi ricopre il ruolo di presidente dell’authority per la sorveglianza sul sistema televisivo turco, in seguito a nomina dell’AKP.

Karaman è strettamente imparentato con Erdogan ed è il proprietario di Kanal 7, la rete filo-AKP dove lavorava lo stesso Akman. Era proprio Kanal 7 che produceva il programma televisivo per raccogliere i fondi del Deniz Feneri. Inoltre i consigli d’amministrazione di Kanal 7 coincidono quasi perfettamente con quelli delle società ombra del Deniz Feneri. L’impianto accusatorio sostiene che il denaro del fondo tedesco fosse veicolato da una cerchia di politici legati all’informazione, guidata dal duo Akman-Karaman, e trasferito ai media più fedeli all’AKP, che poi tratteneva percentuali per finanziare le sue attività politiche. Adesso l’inchiesta è passata ai magistrati turchi, che devono pronunciarsi sui risultati dei loro colleghi tedeschi.

Lo scandalo che è divampato in Turchia corre in due direzioni. La prima porta all’AKP, che continua a soffrire guai giudiziari, prima con il rischio del bando ad opera della corte costituzionale e poi con lo scandalo di Saban Disli. Proprio nei giorni in cui in Germania emergevano i retroscena sulla sottrazione dei fondi per l’islam, l’AKP stava fronteggiando l’accusa di una tangente milionaria pretesa da Saban Disli, vice-presidente e parlamentare dell’AKP, in cambio dell’appoggio per una società interessata ad acquistare un vasto terreno.

Il caso Disli esemplifica la realtà dell’AKP, la cui organizzazione è strutturata per ramificarsi nella società e intrecciare solidi reticoli di politica ed economia dove il consenso viaggia insieme al clientelismo e ad una gestione poco trasparente del potere. La seconda direzione dello scandalo riguarda i rapporti tra il governo e l’informazione. Non solo l’AKP userebbe il denaro della filantropia per rinforzare i suoi organi d’informazione, ma lancia duri attacchi a quei media che non si conformano alla sua linea. Ecco perché lo stesso premier Erdogan ha invitato al boicottaggio di tutti i giornali appartenenti al gruppo Dogan, la più grande realtà editoriale della Turchia, colpevole di aver realizzato una dettagliata copertura informativa su ogni sviluppo del caso Deniz Feneri.

Eppure finora il gruppo Dogan aveva sostenuto apertamente l’AKP. Erdogan spiega che Aydin Dogan, il patrono dell’omonimo gruppo, sta usando il suo potere mediatico come ritorsione perché il primo ministro non avrebbe modificato la mappatura dei terreni su cui sorge l’Hotel Hilton di Istanbul secondo le richieste di Dogan. Nonostante ciò lo sproporzionato attacco del primo ministro non ha precedenti. E’ il segnale di una strategia tesa a politicizzare l’inchiesta. Infatti i dirigenti nazionali e locali dell’AKP hanno ricevuto da Erdogan il divieto di rilasciare dichiarazioni pubbliche sull’inchiesta. Allora i giornali di Dogan, così come l’opposizione repubblicana, diventano nemici che lottano politicamente contro l’AKP. A sua volta il gruppo Dogan ha trasformato la sua informazione in una campagna contro Erdogan, infiammando il dibattito sulle minacce dell’AKP alla libertà di stampa e sui pericoli del regime islamico di per la democrazia turca.

L’eco delle accuse di Erdogan contro Dogan è arrivato fino a Bruxelles. Marc Pierini, capo della delegazione istituita dalla Commissione Europea per condurre le trattative di integrazione con la Turchia, sta seguendo con attenzione il conflitto tra l’AKP e la stampa. Ma le recenti ordinanze di numerosi sindaci dell’AKP per proibire la vendita di alcolici nei negozi aumentano le distanze tra Europa e Turchia.

D’altro canto, l’inchiesta tedesca ha scosso la democrazia turca, producendo l’ennesima replica del conflitto irrisolto tra laici ed islamici. Il clima si è talmente surriscaldato da confondere le differenze tra partiti e media, tra interessi di partito e diritto all’informazione. Ma sotto a questa superficie si sviluppano dinamiche più profonde. L’AKP non è solo il portatore di un’ideologia che sfida lo stato. Rappresenta anche una classe dirigente formata nelle province e nelle periferie che ambisce a scalzare l’aristocrazia politico-economica di Istanbul. Infatti la figlia di Aydin Dogan è la presidentessa dell’associazione degli industriali turchi, che rappresenta la più potente associazione del paese – una specie di club dell’alte sfere del potere. Quindi il denaro diventa l’arma principale per vincere questa battaglia. Ma il progetto di rifondare la Turchia in chiave islamica ha esposto il paese ad una forte instabilità, che ora si abbatte proprio su Erdogan.