
Un nuovo vento “antimercatista” soffia sul governo Merkel

20 Maggio 2008
Con la crisi finanziaria in atto e le lugubri prospettive di crescita nel breve termine, richiami e pressioni per una regolamentazione sempre più occhiuta e stringente dei mercati si moltiplicano di giorno in giorno; non fosse altro che i politici di questa o di quella parte del globo devono in qualche modo dimostrare di avere tutte le carte in regole per poter cambiare le cose ed eventualmente raddrizzarle, quasi che il mercato fosse un articolato marchingegno che per funzionare compiutamente necessitasse di tanto in tanto di un nuovo collaudo da parte di un onnisciente legislatore.
Sembra pensarla proprio in questi termini il presidente federale tedesco Horst Köhler (CDU), il quale, in un’intervista rilasciata al settimanale Stern, si è violentemente scagliato contro le derive di quel "capitalismo selvaggio" che, nell’immaginario collettivo del XXI secolo, si identifica ormai con i mercati finanziari, luogo simbolo delle più oscure speculazioni. Di qui la necessità di imbrigliare ed incatenare "il mostro"- così ha definito il mondo della finanza il presidente tedesco- attraverso una regolamentazione che ne garantisca finalmente la trasparenza. Ed effettivamente l’idea che il mondo della finanza non sia altro che un sistema autoreferenziale che serve soltanto per arricchire pochi e impoverire molti è assai diffusa nell’opinione pubblica mondiale. Lo stesso presidente Köhler ne ha denunciato il deficit di comprensibilità agli occhi dei più, nonché il suo legame ormai reciso con l’"economia reale", quella, per intendersi, della bottega dell’angolo.
Il problema, invero, sta nel guardare alla luna e non al dito; ciononostante anche il presidente tedesco pare essere imprudentemente incappato nell’atavico paradosso, preferendo fare da autorevole catalizzatore delle ansie sociali, piuttosto che prendere atto che le distorsioni di un sistema non corrispondono per nulla al fallimento o all’intrinseca immoralità di esso. Di questo parere è anche il vice-presidente dell’FDP – il partito liberale – Rainer Bruderle, il quale, in un colloquio con il quotidiano economico Handelsblatt, attacca: "Mercato e concorrenza hanno già abbastanza vita dura in Germania.(…) Evocare cavallette (come aveva fatto tempo fa il ministro del Lavoro e vice cancelliere Franz Müntefering per aggredire i fondi sovrani di investimento, ndr) e mostri, diffonde insicurezza nei risparmiatori e negli investitori e potrebbe portare ad una fatale reazione a catena. Questi riferimenti al mondo delle favole non aiutano affatto una discussione costruttiva". Sia come sia, la voglia di un revival del welfare state e più in generale di un massiccio intervento statale nell’economia è più che mai più diffusa tra i tedeschi, spaventati dalle possibili ripercussioni di una concorrenza globale sempre più agguerrita.
Intanto la Germania, sostenuta dalle esportazioni e dai consumi, continua a crescere e persino oltre le attese, se si pensa che nel primo trimestre l’aumento del PIL ha sfiorato l’1,5% in termini destagionalizzati, cifra mai registrata da 12 anni a questa parte. Di qui la parziale apertura del dancelliere Merkel a una riduzione del prelievo fiscale nei prossimi mesi, subito però smentita dal collega ministro delle Finanze, Peer Steinbrück, per il quale l’obiettivo del governo resta il pareggio di bilancio.
Altro tema caldo dell’agenda politica tedesca, e più in generale di quella europea, è la vertenza sugli stipendi d’oro dei manager, giudicati scandalosamente alti rispetto a quelli della maggioranza dei dipendenti in un periodo come questo, nel quale la moderazione salariale, tanto invocata dalla BCE, non può affatto rimanere un metro di giudizio solo per il personale. Di qui l’esigenza ravvisata dai ministri economici degli stati membri, riunitisi all’ECOFIN, di agire sui compensi record dei top-manager, i cui premi e bonus vari verranno con ogni probabilità contenuti attraverso una qualche forma di argine fiscale. Una decisione in tal senso, tuttavia, spetta esclusivamente ai governi dei singoli stati, non essendo l’Unione Europea investita di alcun ruolo specifico in materia fiscale. L’esempio da seguire potrebbe perciò essere quello della Francia di Nicolas Sarkozy, dove nell’autunno scorso è stato fissato per legge un tetto alla deducibilità dei compensi dagli utili societari. Oltre quota 1 milione di euro, l’agevolazione fiscale è stata infatti dimezzata.
In un paese come la Germania, che detiene il primato del manager più pagato d’Europa (si tratta di Wendelin Wiedeking, apprezzato Ceo di Porsche, che percepisce circa 80 milioni di euro all’anno), l’SPD è così tornata alla carica, suggerendo di importare al più presto in Germania questa "felice" misura approvata dal gabinetto francese; la CDU dal canto suo, nonostante i recenti affondi di Angela Merkel contro i dirigenti super-pagati, si è mostrata assai più tiepida. Invero, come anche il Commissario europeo agli affari economici e monetari Joaquin Almunia mostra di capire, il problema sta a monte e segnatamente in come garantire più peso agli azionisti nell’approvazione dei compensi. Come dire, il "salario massimo" non è la soluzione, anzi…