Un po’ di sovranità, vi prego, per l’Italia

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Un po’ di sovranità, vi prego, per l’Italia

05 Luglio 2017

La regia di quel che resta dell’establishment italiano con i suoi sonnacchiosi media si concentra su due principali obiettivi: liquidare quel che resta del renzismo affidandosi all’opera innanzi tutto dell’asse Romano ProdiBanca Intesa e cercare di impedire una concreta ricomposizione del centrodestra. Per capire come questa stanca manovra si organizza è utile riflettere sui due principali fattori che hanno segnato le più recenti vicende italiane: come si è evitato il voto di autunno e quale segnale viene dall’elezioni ammnistrative di giugno in un bel mucchietto di comuni italiani.

Cerchiamo innanzi tutto di capire come mai nonostante Matteo Renzi, Silvio Berlusconi, Beppe Grillo e Matteo Salvini volessero (o comunque dicessero di volere) le elezioni tra settembre e ottobre, non siano riusciti a ottenerle: l’opposizione al voto ha vinto essenzialmente grazie alla volontà di Parigi e Berlino di aspettare il voto tedesco di settembre, trovare un qualche compromesso “renano” e poi imporlo a una Roma che arriverà alla prova elettorale del marzo-aprile 2018 stremata da una dura finanziaria, dalla crisi del Pd, dalle controversie che si spera di far ulteriormente crescere nel centrodestra e da una crescente protesta pronta essere raccolta dal nullismo grillino e che si spera di poter utilizzare come uno spauracchio per favorire chi punta alla vittoria di un centro “politico” della società subalterno a Parigi e Berlino.

Da quando dopo il 2011 la politica italiana è stata commissariata, il sistema di influenze internazionali da sempre (cioè dal 1861, per quel che riguarda lo Stato unitario) particolarmente rilevante nel nostro Paese, è diventato praticamente inarrestabile. Insieme i lavori di assestamento dell’anglosfera dopo Brexit e presidenza Trump, hanno dato mano libera all’asse franco tedesco nel pesare in modo quasi incontrastato sul nostro sistema politico via quel residuo di establishment di cui si è detto rimasto in piedi (essenzialmente Banca Intesa) con annessi media collegati.

Così, nonostante le forze politiche italiane principali esprimessero una qualche volontà di autonomia nazionale (condizionata da un azzoppato sistema di influenze americane per Renzi, dalla dura sconfitta di Marine Le Pen per Salvini, dai ricatti che si scaricano su Berlusconi, e dal confuso sistema di pressioni che si esercita un po’ anarchicamente sui Cinquestelle), il Parlamento si è sottomesso ai desiderata franco-tedeschi attraverso l’unico metodo che la diarchia che oggi tenta di governare l’Unione europea può dalle nostre parti utilizzare: la disgregazione, che nel caso specifico si è espressa con il prevalere dell’interesse di larghi settori di parlamentari, assai  incerti sulla propria rielezione, a salvarsi cinque, sei mesi di indennità.

Nelle elezioni comunali la percezione di questa impasse della politica italiana (come peraltro parallelamente è avvenuto in una Francia dove ugualmente la “politica” è stata -dal “deep State”- svuotata grazie alla liquidazione via intrigo contro François Fillon e al suicidio del Psf organizzato dal super loffio François Hollande) ha spinto un’ampia fetta dei cittadini ad astenersi dal voto. Ma le sfide municipali ugualmente hanno dato indicazioni: la prima è che solo un serio bipolarismo svuota le proteste nulliste (esemplare la lezione britannica con annesso svuotamento dell’Ukip, crisi del partito nazionale scozzese e così via), che gli elettori non cercano tanto soluzioni centriste (di fatto subalterne ai sistemi di influenza internazionali) ma serie identità politico-programmatiche, che a sinistra vincono (come in Grecia, Portogallo e in parte nella stessa Inghilterra) quelli che hanno proposte di sinistra (Palermo, Puglia, Padova) non quell’espressione di un potere opaco che il renzismo ha determinato dove ha acquistato più influenza (con varie fidanzate dei Flavio Tosi di turno e simili).

Naturalmente sul voto amministrativo pesa il forte astensionismo, però è singolare l’idea di contrastare la protesta non raccogliendo le indicazioni di chi si è espresso, ma inseguendo chi non dà indicazioni e che verrà confortato nel suo atteggiamento di “protesta” se prevarranno scelte che appaiano disgregatrici come inevitabilmente emergeranno da qualsiasi sistema più o meno puramente proporzionalistico. Piuttosto che cedere alle sirene della disgregazione è meglio votare con i due sistemi elettorali vigenti (Italicum e premio alla lista maggioritaria alla Camera, Consultellum e premio alle coalizioni al Senato). Daranno risultati diversi? Ciò imporrà una (breve per carità) fase costituente ma tra forze bipolarizzate e non dentro una palude facilmente dominabile dall’estero.

Come al solito il cuore della politica è la politica internazionale, e dunque il nostro modello deve rispondere al ruolo che l’Italia può svolgere sullo scenario continentale e globale. Non possiamo scegliere un modello tedesco che è garantito solo dall’egemonia della Germania sul Continente, non possiamo adottare la via macroniana che è consentita dal patto con una Berlino che offre a Parigi la colonizzazione (innanzi tutto via Prodi) di Roma e un sostegno ai decisivi interessi francesi in Africa (anche se poi i rapporti di Berlino con Pechino provocano serie contraddizioni), dobbiamo cercare le basi per una pur relativa sovranità nazionale che ci dia anche la possibilità di collegarci per impedire egemonismi carolingi anche con russi, americani e inglesi, un’alleanza che peraltro già nel 1943 si rivelò abbastanza efficace. E le basi per una pur relativa (cioè nell’ambito dell’Unione) sovranità nazionale poggiano solo su una sovranità popolare che per esprimersi appieno ha bisogno di un vero governo e una vera opposizione, altro che le ciofeche dei partiti della Nazione.