Un ricordo di Roberto Ruffilli, assassinato vent’anni fa
20 Aprile 2008
All’indomani di un
terremoto politico che ha mostrato un’Italia che finalmente è riuscita a far
crollare il suo Muro di Berlino, voglio ricordare che esattamente venti anni
fa, il 16 aprile 1988, moriva a Forlì il prof. Roberto Ruffilli, allora
cinquantunenne, sotto i colpi delle Brigate Rosse.
Studioso di storia politica italiana nell’età moderna e contemporanea, dal
1983 Ruffilli fu anche senatore della Repubblica nelle fila della Democrazia
Cristiana. Le Brigate Rosse lo assassinarono, facendolo
inginocchiare e sparandogli in testa, pochi giorni dopo la nascita di un nuovo
governo democristiano. Nelle parole del comunicato brigatista, Ruffilli era
stato prescelto per l’eliminazione perché considerato “uno dei migliori
quadri politici della DC” che aveva saputo “concretamente ricucire,
attraverso forzature e mediazioni, tutto l’arco delle forze politiche …
comprese le opposizioni istituzionali”. Non possiamo immaginare come
Roberto Ruffilli avrebbe votato il 13 e 14 aprile 2008, né sta a noi delinearne
la figura di studioso e di politico. Altri l’hanno già fatto e lo faranno
ancora.
Personalmente,
ricordo quando, al mio primo giorno di incarico universitario presso l’Istituto
Storico-politico dell’Università di Bologna (era il 1975), l’istituto di Nicola
Matteucci, Tiziano Bonazzi e Gianfranco Pasquino, Ruffilli mi accolse
chiedendomi sorridendo se avessi bene imparato la mappa del potere accademico
prima di varcare la soglia dell’università. Senza la perfetta e preventiva
conoscenza di quella mappa, mi disse sempre scherzosamente, nell’università
italiana non si faceva carriera.
Ma soprattutto da allora lo ricordo, anno
dopo anno, come uno di coloro che non c’è più, al quale degli assassini
obnubilati da un utopismo nichilista e disumano hanno tolto il diritto a vivere
una vita serena, intelligente e produttiva. Si ha un bel battere le mani ai
funerali, intitolare strade alla “Vittime di…” (il resto viene
sempre abbreviato), o dire che il tale o il tal altro “vivranno nei nostri
cuori”. Non è purtroppo così. Chi viene ucciso viene strappato alla vita.
La sua individualità sparisce. È bene che, questo sì, ricordiamo tutto questo
quando giudichiamo, proponiamo sconti di pena, votiamo indulti, parliamo di
riconciliazione, assistiamo a presentazioni di libri o di opere di ex
terroristi, gente che questi ultimi vent’anni, a differenza di Roberto
Ruffilli, li hanno vissuti da vivi, e non “nel ricordo”.