Un “uomo qualunque” si aggira nella scellerata Parigi di André Héléna
13 Aprile 2009
Se il termine vintage sta ad indicare cose del recente passato che tuttora mantengono intatto il loro fascino, conservando un valore pienamente attuale, bisogna dare atto e riconoscere merito alla Fanucci Editore di avere fatto centro, pubblicando, a fine 2008, nella Collana per l’appunto denominata “Collezione vintage”, lo straordinario Un uomo qualunque, scritto da André Héléna nei primi anni Cinquanta (il titolo originario era Le demi-sel, la traduzione di Cinzia Poli).
Il romanzo, dal ritmo incalzante di una sceneggiatura di un film d’azione (l’autore ebbe, in effetti, contatti professionali anche con il mondo della cinematografia), è ambientato nei quartieri malfamati di una nebbiosa e piovosa Parigi, da poco uscita dall’incubo della guerra. Il protagonista, Balthazar, è uno sbandato, unitosi ad una gang di rapinatori, capitanata da un malavitoso italiano. Nell’ambito di un duro regolamento di conti – in senso letterale: sorge un problema nella spartizione del bottino –, che costella di un omicidio ciascun capitolo del libro, Balthazar si muove tra Montmartre e Pigalle, frequentando – prevalentemente dopo il calar del sole – bistrot squallidi, strade sudice, bardi immigrati magrebini, dove la vita non vale un soldo, miseri alberghetti e bordelli di terz’ordine. Non manca lo spazio per l’amore, ma esso pure non è momento di confortante serenità, ma ennesimo anello del tragico e ineluttabile destino che accomuna il protagonista e gli altri miseri esseri che si porgono alla ribalta narrativa, per un lettore a cui l’autore non risparmia alcuna asprezza.
Stando alle categorie canoniche, Un uomo qualunque va ascritto al genere dei romanzi noir. Ciò è senz’altro corretto, ma ad un tempo riduttivo, analogamente a quanto accade per l’opera di un moderno autore di culto, qual è Jean-Claude Izzo. Vi sono, invero, talune singolari analogie tra i due autori, a cominciare dalla tragica brevità della vita. Nelle opere di Izzo, tuttavia, a parte la ben diversa ambientazione nel Midi – per lui è assai azzeccata la definizione di maestro del noir mediterraneo – vi è un evidente sottofondo politico/ideologico e, soprattutto, un disperato e angoscioso senso di morte, che pervade quasi ogni pagina, tale da riuscire a condizionare e ad opprimere anche il lettore.
Non così in Héléna, per il quale il pur durissimo approccio alla realtà si realizza con un distacco da entomologo, determinando nel lettore non già stati di angoscia, ma una crescente pietas per le umane miserie narrate. Magistrale è poi la sua capacità di evocare, pur con assoluta semplicità di mezzi, le “atmosfere” dei luoghi. C’è da augurarsi che la Fanucci Editore possa quanto prima offrirci altre prove di questo autore “maledetto”, dalla vita picaresca e dalla produzione sterminata (ben oltre duecento titoli, tra cui anche una cinquantina di romanzi pornografici).
Il libro reca un’introduzione ed una postfazione, entrambe meritevoli di lettura. La postfazione è costituita da un breve saggio scritto a quattro mani da Laurent Lombard e Massimo Carlotto, lavoro che si segnala per lucidità e capacità di penetrazione, ma anche per una sottostante nota di affettuosa partecipazione nei riguardi della vita e delle opere di un autore certamente dalla vicenda umana molto sfortunata. L’introduzione – del 1988 – è dovuta a Léo Malet, amico e collega di Héléna, e risulta per certi aspetti sconcertante. Il prefatore, infatti, pur con apparente bonomia, dipinge l’autore – da tempo ormai scomparso – come un modesto poveraccio, non perdendo peraltro l’occasione per parlare di sé e di un suo libro. Davvero non male, per un’amicale prefazione! Dal che si deduce che è sempre valido l’antico adagio: dagli amici mi guardi Iddio…