Un voto contro il nucleare. Un voto per il declino dell’Italia

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Un voto contro il nucleare. Un voto per il declino dell’Italia

Oggi e domani si vota per i vari referendum, fra cui quello sul nucleare. Attraverso il nostro dossier nucleare abbiamo presentato più e più volte la necessità di un rilancio dell’energia nucleare in Italia. I motivi sono molti – ambientali, di sicurezza energetica, ed economici. In aggiunta, un’industria nucleare dimostrerebbe le capacità tecnologiche ed innovative del nostro paese e fungerebbe da catalizzatore per un progresso di innovazione economica con enormi benefici per l’Italia. Non siamo solo noi a dire questo, ma sono scienziati, industriali, economisti e molti altri. Si veda la recente lettera degli scienziati in favore dell’uso dell’energia nucleare.

In questi ultime settimane, in Italia come in Europa, sull’onda emotiva di quanto è avvenuto in Giappone si sono rincorse dichiarazioni apocalittiche di ambientalisti, cambi di direzione di ministri e governi, e (onesto o meno) sdegno pubblico sui media. In aggiunta, il referendum di domenica ha alimentato in Italia il dibattito ed acceso gli animi più di quanto sia necessario. Il referendum stesso non sembra il modo più adeguato per risolvere un problema di tale importanza. Escludere a priori un’opzione senza riguardo per i suoi costi o benefici non sembrerebbe una presa di posizione intelligente. In primo luogo perchè l’apertura, innanzitutto culturale ed intellettuale, verso qualsiasi fonte di energia, non comporta l’automatica adozione di una sua installazione. Perché ciò possa avvenire, devono prima verificarsi una serie di condizioni, come la sicurezza e l’economicità, senza le quali qualsiasi centrale non si può costruire. Si tratta quindi di portare avanti un esame molto attento ed analitico su singoli progetti.

In secondo luogo, un’eventuale bocciatura del nucleare nel referendum impedirebbe di costruire una centrale atomica “a priori”, indipendentemente dal tipo di contesto futuro che si andrà a delineare, dalle tecnologie disponibili e dagli scenari economici e geopolitici. In tale prospettiva, apparirebbe più prudente tenere aperta la porta, non decidendo in modo preventivo, superficiale e definitivo e conservando come disponibile l’opzione nucleare, qualora ne ricorrano le necessità economiche e politiche, in particolare se si ragiona in un’ottica di lungo termine, di circa 40–50 anni (equivalente al tempo di vita di una centrale) nel quale tensioni internazionali e conflitti locali attorno allo sfruttamento delle risorse energetiche non sono impensabili.

Non solo, ma non sembrerebbe saggio per un paese povero di risorse energetiche e minerarie affrontare un mondo sempre più globalizzato e competitivo rinunciando preventivamente alla tecnologia nucleare, e quindi alla relativa ricerca e competenze tecniche che nel frattempo si potrebbero acquisire. A tal proposito, c’è da ricordarsi che una volta che si è fuori da una filiera tecnologica-industriale è poi molto difficile, se non impossibile, recuperare il terreno perduto, specialmente con il livello di concorrenza feroce presente nel mondo di oggi.

Come già affermato in passato, un futuro senza l’opzione nucleare è un futuro probabilmente più costoso e rischioso. Nel caso che il referendum abbia successo e l’opzione nucleare scompaia, riteniamo che tale scelta ci potrà costare molto cara nel corso dei prossimi decenni, in particolare se si verificherà una crisi energetica internazionale di fronte alla quale non si sia preparato, con molti anni di anticipo, un piano di risposta, che potrebbe (ma non è necessario) includere il nucleare. Il pericolo più grave è che il rifiuto ideologico del nucleare rappresenti un evidente sintomo del declino economico e tecnologico di un paese, incapace di accettare ed affrontare le sfide di lungo termine.