Un’Assemblea che segna l’inizio di una nuova fase internazionale
25 Settembre 2010
Il Palazzo di Vetro è una vetrina da 20 miliardi di costo annuo, con sei lingue ufficiali e programmi di aiuto che costano più di quanto arriva ai bisognosi. L’Onu è nata all’indomani della Seconda guerra mondiale come uno Speakers corner utile a dare uno spazio anche alle nazioni appena uscite dal vergognoso colonialismo europeo. Per decenni l’organizzazione ha svolto questo incarico con merito, cercando di dare una mano là dove serviva (Bangladesh, Biafra etc.) ed è stata l’unico luogo fisico in cui si potevano confrontare i due imperi coinvolti nella Guerra Fredda.
Le anomalie sono nate negli anni ’70, quando il petrolio è diventato un’arma geopolitica. In quel momento le carte si sono sparigliate e il centro decisionale si è spostato in altri lidi, tanto che oggi possiamo dire che la vera ONU è il G20, come afferma David Bosco su Foreign Policy. Mentre la “Comunità delle democrazie” o la Clinton Global Initiative non rappresentano un’alternativa credibile, il G20 garantisce una certa snellezza nel rapporto tra decisioni e azioni, essendo per sua natura più pragmatico e meno ideologico della Onu à la Rousseau.
I caschi blu hanno mantenuto importanza in situazioni marginali e con risultati sconfortanti (Haiti), e la Forza di dissuasione internazionale è di fatto passata alla Nato (con la Russia al traino, a parte la guerra in Yugoslavia, oppure in cerca di pallide alternative asiatiche).
A quel punto l’Onu è diventata un gigantesco spot per i peggiori filibustieri divenuti leader nelle nazioni dell’ex Terzo Mondo, e non per i loro popoli.
Dopo la Caduta del Muro e dopo l’infausta gestione di Kofi Annan, dopo che Libia e Iran hanno ricevuto incarichi nobilissimi (e qualche doverosa bastonata), l’Onu è dominata dall’idea di Franz Fanon che i “dannati della terra” hanno sempre ragione, anche quando si chiamano Ahmadinejad e non sono dei poveri contadini algerini.
Nonostante la eclatante assenza di leader del calibro di David Cameron, Lula, Putin e Medvedev, l’Assemblea Generale di quest’anno merita però una particolare attenzione, perché mette sotto i riflettori questioni fondamentali. Dobbiamo infatti calcolare che la Crisi è una sorta di spartiacque geopolitico, dal quale emergeremo con un Mondo Nuovo davanti. Ma dato che “nuovo” non è sinonimo di “migliore” (errore atroce dei progressisti mondiali), ci si deve rimboccare le maniche.
I crocevia da superare
Il nodo globale si chiama sempre Israele-Palestina. Anche se l’asse geopolitico è definitivamente spostato nel Sud-est asiatico (tra Iran, Afganistan, Pakistan, Coree, Cina, Malesia e India, l’area della Shanghai Cooperation Organisation SCO), l’occulto Re del Mondo che decide i destini globali risiede ancora dalle parti di Gerusalemme. Gerusalemme è la patria degli ebrei ma è anche la “patria” spirituale per i cristiani. I musulmani poi guardano a Gerusalemme per ragioni coraniche e per ragioni storiche, visto che sono convinti che lo “Stato sionista” sia una “entità” imposta dagli occidentali per mantenere sotto giogo tutta la Umma araba, così come i palestinesi. Attorno a questo nodo ruota il terrorismo jihadista e il tentativo imperialista iraniano (ridicolo in apparenza, ma potenzialmente devastante, se riuscisse a saldarsi con la Big Factory cinese attraverso il corridoio afgano.
Attorno alla possibile pace tra Caino e Abele passa anche il futuro politico del presidente degli Stati Uniti, e per questo motivo si può essere certi che entro un mese si arriverà a una “piccola pace” tanto eclatante mediaticamente quanto fragile nei fatti.
Il leader israeliano Netanyahu deve decidere entro domenica sul prolungamento della moratoria sui nuovi insediamenti edili nella zona sotto il controllo dell’Autorità palestinese. Si tratta di una decisione non facile, perché il premier è preso tra due fuochi: dai suoi elettori, e dalla Ragion di Stato.
In questo quadro si inserisce lo show del presidente Ahmadinejad, cominciato con una visita in Siria e con una dichiarazione in difesa di Carla Bruni, attaccata in maniera indecente da un quotidiano iraniano. Ottima comunicativa nel solco pacifinto di Stalin e Hitler: l’Iran sarebbe contro le armi nucleari e anzi denuncia che i suoi accusatori sono detentori di arsenali atomici, inclusa Israele, e su questo costrutto retorico i Chamberlain del 2000 sono sempre pronti ad abboccare, anche se in questi giorni si rischia un Coup d’Etat in Libano per mano di Hezbollah.
Poi sono arrivate le legnate: la definizione di Netanyahu come “killer”, e la rievocazione alla Giulietto Chiesa dell’11 settembre come “un complotto sionista-americano”. Al che i rappresentanti di molti paesi occidentali si sono alzati e hanno abbandonato l’aula.
Ma che dire a proposito della falsificante delibera della commissione d’inchiesta sulla “Flottiglia di pace per Gaza”. Qui è l’Onu che “parla”, il suo Consiglio dei diritti umani ritiene che Israele abbia commesso una “violazione grave” nel corso dell’abbordaggio della Mavi Marmara da parte della Marina militare di Gerusalemme. Nessuna parola però sul fatto che la Flottiglia di pace fosse organizzata da un gruppo turco sospetto di collusioni con la jihad, e nessuna parola sul ruolo occulto del governo di Ankara. Ecco il classico esempio di come l’Onu non riesca a superare i sentimenti antiisraeliani (antioccidentali e in molti casi antisviluppo) che dominano tra molti governi delle Nazioni Unite (si noti bene: tra i governi, non tra i popoli, i quali però vengono abbeverati a sorgenti mediatiche avvelenate).
Obama ieri ha effettuato un discorso giudicato “equilibrato” dalla radio israeliana. Il presidente Usa ha parlato della possibilità che nel prossimo anno tra le Nazioni Unite sieda anche un rappresentante palestinese, ribadendo insieme che Israele è la “patria storica del popolo ebreo”, parole che per gran parte del mondo arabo suonano come bestemmia (tuttavia oltre il 50% dei palestinesi di Ramallah si dice d’accordo sul processo di pace). Da parte sua Mahmud Abbas si è rivolto ai rappresentanti delle organizzazioni ebree statunitensi in maniera chiara: “Parlo a nome del popolo palestinese. Ogni accordo sarà sottoposto a un referendum, e a quel punto nessuna organizzazione, Hamas o altri, potrà opporsi. Dopo di ciò proclamerò la fine definitiva del conflitto storico con Israele. E rispetteremo questo patto”. Nei prossimi giorni ci sarà a Damasco un incontro tra rappresentanti di Hamas e di Fatah.
Tira aria di pace?
Il rilievo di maggiore interesse è costituito dalla decisione russa di bloccare la vendita di sistemi antimissile S-300 all’Iran, anche se si trattava di armi considerate dall’Onu come difensive e non sottoposte a embargo.
Cina, Brasile, Russia e India sono interessate a potenziare le proprie economie e la vendita e il reperimento di idrocarburi. Inizierà un’era di libero mercato, la migliore arma per la pace tra i popoli?
Resta alto il potenziale bellico e destabilizzante dello jihadismo (in crescita in Africa). L’informazione ebrea è molto attenta ai numeri del terrorismo, e i dati forniti da questo sito sono impressionanti: nel solo mese di agosto ci sono stati nel mondo una cinquantina di attentati riconducibili ai gruppi della Jihad, con centinaia di morti.