Unioni civili: chi ha vinto davvero e chi ha perso
26 Febbraio 2016
E così, è passata. La legge sulle unioni civili, che abbiamo sempre ritenuto fosse “firmata” da Renzi assai più che dalla Cirinnà, è passata al Senato con il voto di fiducia del Pd e delle truppe di Alfano e Verdini (a parte poche, ma significative, assenze, tra cui quella di Sacconi). Il voto certifica l’ingresso ufficiale nella maggioranza del gruppo di Verdini, che ha consentito al governo di raggiungere e oltrepassare la fatidica “quota 161”. “Partirono arcobaleno e arrivarono verdini”, sintetizza Gasparri con una battuta. Ma è interessante, oggi, leggere le interpretazioni della tormentata vicenda fornita dalla stampa, con il Corriere che dà le pagelle ai protagonisti. Allora proviamo a fare lo stesso gioco anche noi: chi ha vinto, chi ha perso nella battaglia sulle unioni civili?
Renzi – Il nostro premier ha sicuramente vinto, con il cinismo e la spregiudicatezza che ormai conosciamo. Ha dovuto però forzare le procedure fino al limite massimo e anche oltre, e solo l’incredibile acquiescenza del presidente del Senato ha consentito che il ddl arrivasse in porto. Non soltanto si è scavalcato del tutto il dibattito in Commissione, violando l’art. 72 della costituzione, non soltanto si è votata la fiducia su un disegno di legge di iniziativa parlamentare e non governativa, non soltanto si è cercato di far passare un “canguro” che il giorno successivo il presidente Grasso ha dovuto dichiarare inammissibile, ma si è impedito ai senatori di decidere secondo coscienza. Questo era il punto fondamentale: Renzi non voleva che i parlamentari, soprattutto quelli del Pd, votassero liberamente, magari a scrutinio segreto. Quindi: o il canguro (che blindava tecnicamente la legge) o la fiducia (che blindava politicamente i parlamentari). Per Renzi, insomma, il fine giustifica i mezzi, e l’importante è vincere: tendenze assai pericolose, per chi ancora crede nella democrazia.
Alfano – Il leader di Ncd si è “intestato” una legge che non è mai stata nel suo programma ma solo in quello del Pd. Per il timore delle cosiddette maggioranze variabili, con cui sarebbe stata certificata la marginalità dei centristi, si è affrettato a soccorrere il premier in difficoltà, tradendo le promesse fatte al proprio elettorato per consentire a Renzi di mantenere invece quelle fatte alla Leopolda. Di fronte alle proteste che lo hanno inondato, ha tirato in ballo persino un papa, per giustificarsi, sostenendo di aver migliorato una legge inevitabile. Ma, a parte il fatto che la legge sarebbe stata evitabilissima se lui avesse minacciato di uscire dal governo, e a parte il fatto che probabilmente in aula si sarebbe impantanata (tant’è vero che Renzi ha fatto di tutto per non portarla in aula), il problema è che i miglioramenti non si vedono proprio. Dell’obbligo alla fedeltà non importa a nessuno, la stepchild entrerà per via gurisprudenziale, e basta leggere i commenti trionfanti delle associazioni gay e del Pd (tra cui la Finocchiaro) per smentire questa patetica tesi. Il Corriere attribuisce a Ncd consensi cattolici: sbagliato. I cattolici che sono d’accordo su questo testo votano in grandissima maggioranza a sinistra. La verità è che la scelta di Alfano è stata tutta politica: ha puntato sul consolidamento dell’accordo con Renzi, e basta. Ha vinto quindi sul piano della politica politicante, ha perso su quello della credibilità e del consenso.
I cinque stelle – Il movimento di Grillo è stato coerente: si è battuto contro il canguro come aveva già fatto nel corso della battaglia parlamentare sulla riforma istituzionale. Ha chiesto più volte che il ddl continuasse il suo percorso in aula, senza forzature, visto che ormai gli emendamenti si erano ridotti a 500 (una cifra del tutto accettabile) e che i canguri, alla fine, erano stati esclusi da Grasso. Il Pd ha rovesciato tutte le colpe su di loro per nascondere le proprie difficoltà, e si è arrivati perfino a rendere pubblico un sms privato del senatore Airola. Hanno perso, ma hanno mantenuto intatta la propria identità, dimostrando un rispetto delle istituzioni che al Pd sembra fare difetto, e hanno dimostrato, riconoscendo la libertà di voto, di saper ascoltare la piazza molto più di altri.
Gandolfini – Il comitato “Difendiamo i nostri figli” è uscito, per adesso, sconfitto, nonostante la generosità di cui ha dato prova. Ha peccato forse in qualche caso di ingenuità, dando ad alcuni politici più fiducia di quella che meritavano. Ma ha un popolo alle spalle, e rappresenta un mondo che, nonostante sia dileggiato e ignorato dai media, esiste, giudica e vota. Il Corriere scrive che “la mobilitazione è stata inferiore alle aspettative e la breccia nel mondo cattolico si è allargata”. Wishful thinking delle élite nostrane: se la comunità gay fosse riuscita a riempire il Circo Massimo come hanno fatto i cattolici, i direttori delle grandi testate sarebbero ancora lì a ballare di gioia. Il voto al Senato non chiude comunque la battaglia: e se nasceranno davvero i comitati per il no al referendum minacciati da Gandolfini, se la mobilitazione anti – Cirinnà si trasformerà in una mobilitazione contro la riforma istituzionale, la situazione potrebbe davvero rovesciarsi.
Noi parlamentari di Idea, insieme ad altri, abbiamo lottato a viso aperto, mantenendo fermi non soltanto i nostri principi, che qualcuno assai autorevole aveva definito “non negoziabili”, ma anche difendendo strenuamente la costituzione e le prerogative del parlamento, trattati alla stregua di oggetti ingombranti e inutili, da rottamare. Tanta arroganza, tanto disprezzo per le istituzioni democratiche, creano davvero un nesso stretto con il futuro voto sul referendum istituzionale. La battaglia sulle unioni civili va avanti, ma ormai si salda a quella per impedire che il prossimo referendum diventi l’occasione per mettere in atto prove tecniche di regime.