Uno “shock” alle pensioni migliora il sistema e dà garanzie sul futuro

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Uno “shock” alle pensioni migliora il sistema e dà garanzie sul futuro

15 Gennaio 2009

Non solo il Governo italiano ha messo una pesante opzione sul sistema pensionistico sul prossimo futuro, ma, per reagire all’invecchiamento della popolazione, anche il Parlamento europeo ha votato la relazione sul futuro dei regimi previdenziali e pensionistici. Tra le soluzioni proposte: innalzare l’età pensionabile, ricorrere a sistemi pensionistici complementari e limitare le imposte sul lavoro.

Sull’ultimo working paper di OSECO, ci si è posti una domanda: la natalità è troppo bassa rispetto a quanto necessario per un equilibrato sviluppo del Paese? Ebbene, non saremmo ora qui a porci questo problema se le coppie avessero semplicemente avuto il numero di figli desiderato (mediamente attorno a due, secondo anche le più recenti indagini, contro un figlio e un terzo effettivi). Ma considerazioni analoghe valgono anche per la troppo bassa occupazione femminile e l’eccessivamente protratta dipendenza dei giovani dai genitori.

Anche su questi due aspetti, che comprimono lo sviluppo italiano, esiste un ampio divario tra ciò che sono i desideri e le aspettative dei singoli e ciò che invece riescono a realizzare. Sembriamo un paese che più di altri spreca risorse, non valorizzando adeguatamente i giovani e le donne.

Recenti analisi su dati Istat hanno messo in evidenza come i giovani italiani escano di casa mediamente tre anni dopo rispetto all’età considerata da essi stessi ideale per diventare autonomi, e due casalinghe su tre nella cruciale fascia d’età 35-45 parteciperebbero al mercato del lavoro se ve ne fossero le condizioni. Tra gli anziani a crescere sono soprattutto i grandi vecchi, gli over 80.

Al censimento del 2001 erano circa due milioni e mezzo e sono destinati a triplicare nella prima metà del XXI secolo (secondo le previsioni Istat saranno 8,3 milioni nel 2050). Al loro aumento si affianca la crescita di domanda di assistenza per i non autosufficienti. Finora la famiglia italiana si è trovata sostanzialmente abbandonata a se stessa nel rispondere alle richieste di aiuto dei suoi membri più deboli. Non solo continua ad essere il principale ammortizzatore sociale per i giovani nel loro contrastato percorso di piena entrata nella vita adulta, ma svolge una funzione imprescindibile verso i membri più anziani nella loro fase di perdita progressiva delle loro abilità fisiche e mentali. La rete degli aiuti informali continua ad essere il principale pilastro del welfare italiano, mostrando però preoccupanti segnali di sovraccarico sul suo asse portante costituito tradizionalmente dalle donne adulte (le principali care-givers). L’Italia non solo risulta essere lo stato occidentale nel quale le donne sono maggiormente impegnate nelle attività di impegno familiare, ma anche quello nel quale il differenziale tra uomini e donne è maggiore (comprese le coppie in cui entrambi lavorano). A ciò corrisponde un’analoga asimmetria di genere nelle attività di tempo libero.

Come risulta da vari studi, molte donne vorrebbero comunque, anche se occupate, poter continuare a svolgere un ruolo di sostegno e assistenza all’interno della rete familiare, senza però essere schiacciate da tali impegni ed essere magari costrette a rinunciare a realizzarsi nel proprio lavoro.

Nel complesso, la società italiana sta vivendo una fase di grande cambiamento. La politica, le istituzioni, il sistema di welfare segnano invece, da troppo tempo, il passo. C’è stata una grave incapacità ed un grave ritardo nella lettura e nell’interpretazione delle trasformazioni in atto da parte di chi ha avuto negli ultimi decenni responsabilità pubbliche e di governo. Ci troviamo ora di fronte a nodi problematici associati a fenomeni già presenti da tempo, che si stanno cronicizzando. La persistente bassa fecondità, la lunga permanenza dei giovani in famiglia e l’invecchiamento della popolazione, ne sono un esempio. Ovvio che le condizioni dei sistemi di welfare (destinate a peggiorare) risentono fortemente dell’andamento di questi elementi: basta leggere le recenti stime demografiche Eurostat. Nel rapporto relativo al periodo 2008-2060, per l’UE è prevista tra sette anni una crescita naturale zero, compensata solo dai flussi migratori. In Italia ciò avviene già da tre anni. Inoltre dal 2035 neanche l’immigrazione riuscirà più a coprire il deficit demografico del vecchio continente, la cui popolazione scenderà gradualmente fino a 506 milioni nel 2060. I parlamentari europei sembrano aver seguito le considerazioni suesposte. Le nascite sono sempre più in calo mentre i costi per le pensioni e l’assistenza sanitaria in aumento.

Nel 2050 l’età media della popolazione europea sarà di 49 anni contro i 39 di oggi rischiando di trovarsi di fronte a un vuoto generazionale dalle conseguenze incalcolabili sul mercato del lavoro, sulla spesa sanitaria e sui sistemi di protezione sociale. Tra 40 anni un lavoratore su quattro avrà più di 60 anni, l’Europa spenderà il 27,2% del suo PIL nella protezione sociale e le spese per l’assistenza sanitaria aumenteranno del 2%. Allo stato attuale, a parte la Svezia, non esistono in Europa misure sociali tali da permettere a studenti che sono, per esempio, anche giovani genitori, di lavorare, studiare e sovvenire ai bisogni familiari. Qualcuno ha altre soluzioni?