Usa via da Okinawa, la superpotenza di Obama si ridimensiona
03 Gennaio 2014
Okinawa, uno dei principali simboli della guerra nel Pacifico, vedrà una significativa diminuzione delle truppe USA presenti in loco a quasi 70 anni dalla sua conquista da parte dei marines. Conquista terribilmente sanguinosa, come tutti sanno. Furono necessari 82 giorni di combattimenti intensissimi per occupare interamente un’isola di 1200 km quadrati. 68000 le vittime americane (di cui 17000 morti), 66000 soldati giapponesi caduti, un terzo della popolazione civile perita nel corso degli scontri.
Non solo.
Okinawa è parte dell’immaginario collettivo americano. Celebre la fotografia dei marines che issano la bandiera a stelle e strisce il 29 maggio 1945, e altrettanto famoso il film con Richard Widmark e Jack Palance dedicato alla battaglia. Da parte nipponica quei giorni segnarono anche l’apice dell’impiego dei kamikaze, che inflissero perdite terribili alle navi alleate.
L’isola è la porta del territorio metropolitano del Giappone. Secondo alcuni storici la decisione del presidente Truman di sganciare le atomiche a Hiroshima e Nagasaki fu presa proprio dopo la battaglia suddetta, nel corso della quale fanteria e marines americani dovettero contendere il terreno metro per metro a nemici che preferivano il suicidio alla resa. Si temeva, in altri termini, che la conquista del Giappone con uno sbarco in massa avrebbe causato perdite intollerabili.
A guerra conclusa l’isola divenne un’enorme base USA, mai accettata dalla popolazione locale. Frequenti le manifestazioni antiamericane e la richiesta di sgombero totale. Ora i due governi sono giunti a un accordo; verrà smantellata la grande base di Futenma al centro dell’isola e al suo posto sorgerà un’installazione più piccola e più lontana dalle zone abitate.
Le interpretazioni di questi fatti sono però stranamente divergenti, e questo è l’elemento più interessante ai nostri fini. Alcuni ritengono che si tratti di una vera e propria ritirata USA. Dopo la dismissione di alcune basi nelle Filippine e la diminuzione del contingente americano nella Corea del Sud, il ridimensionamento delle truppe a Okinawa è visto come ulteriore segno dell’attuale declino militare (e politico) degli Stati Uniti.
Altri commentatori, invece, seguono la versione ufficiale dell’amministrazione USA, secondo cui la costruzione di una base più piccola consente al Pentagono una distribuzione più oculata delle forze nel Pacifico. Dei 18000 soldati ora di stanza a Okinawa, 5000 andranno a Guam e 2500 in Australia. Il segretario della difesa Chuck Hagel ha infatti affermato che “questi cambiamenti sono indispensabili al nostro equilibrio militare nelle regioni asiatiche, e ci consentiranno di preservarne la pace e la sicurezza”.
Chi ha ragione e dove sta la verità? Nonostante le dichiarazioni ufficiali e l’ottimismo di facciata, permane la sensazione che gli Stati Uniti abbiano crescenti difficoltà a mantenere il ruolo di unica potenza globale acquisito dopo il crollo dell’Unione Sovietica. E tali difficoltà si sono indubbiamente accentuate con la presidenza Obama. Tutto questo depone a favore delle tesi sostenute dal politologo Charles Kupchan, che ha parlato più volte di “fine dell’era americana”.
E’ cambiata non solo la percezione degli USA all’estero, ma pure l’immagine che gli americani hanno di se stessi. Meno sicuri e ottimisti di un tempo, sembrano più interessati ai problemi interni che allo scenario internazionale (anche se ci sono state altre fasi simili nella storia statunitense). Per dirla con franchezza, oggi i cinesi appaiono molto più arroganti dei tanto vituperati yankees.