Vegetativo, non vegetale

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Vegetativo, non vegetale

Vegetativo, non vegetale

08 Luglio 2011

Gentile direttore, l’articolo “Da Mumbai a Montecitorio” di Federico Orlando contiene molte inesattezze,  a partire dalla definizione di “pazienti vegetali” riferita alle persone in stato vegetativo, per le quali il verbo sopravvivere è riportato fra virgolette: espressioni sorprendenti dal punto di vista scientifico e medico, ma soprattutto offensive per queste persone e per i loro familiari.

L’ostinazione con cui, a dispetto di tutta la letteratura scientifica esistente, si continua a voler considerare questi disabili gravissimi come non-persone (vegetali, appunto) si spiega solo con l’insopportabile carico ideologico con cui alcuni vogliono ancora affrontare il tema. Il termine “vegetativo”, come è noto, è riferito infatti alla funzionalità del sistema neurovegetativo, e non al mondo vegetale; inoltre le ultime indagini hanno dimostrato che ci possono essere, nelle persone che vivono questa condizione, insospettate risposte a livello cerebrale, come ci può essere sofferenza nel caso di uno stimolo doloroso.

Solo l’accecamento ideologico può spiegare la “pia ferocia” attribuita ai “curatori” di Eluana Englaro (ma a chi si riferisce Orlando? Alle suore di Lecco, a cui i genitori l’hanno affidata per tanti anni? Ai medici che l’hanno soccorsa?). Per quanto riguarda la giornata nazionale degli stati vegetativi, è vero, il Consiglio dei ministri ha deciso, su richiesta delle associazioni dei familiari, di istituirla, come ha fatto in molti altri casi: per i trapianti, per esempio, o per i tumori, la salute mentale, e così via. Ma, evidentemente, per Orlando le persone con questa sindrome, essendo vegetali -poco più di una pianta verde- non meritano che si dedichi loro attenzione. Tralascio per motivi di spazio altri passaggi impropri dell’articolo, per venire al punto che più mi interessa. Riferendosi al caso di Stefano Cucchi, l’articolo riporta in modo parziale le mie dichiarazioni a proposito, e, dopo aver citato ampiamente il commento di Ignazio Marino, ignora del tutto la mia risposta.

Il paragone che ho fatto fra il caso Cucchi e quello Englaro non riguardava certo, come ho chiaramente detto nella trasmissione radiofonica da cui le dichiarazioni sono state tratte, le due vicende umane e giudiziarie, lontanissime tra loro, ma solo le modalità della morte. Secondo la commissione parlamentare presieduta da Marino, “la causa della morte di Cucchi è l’instaurarsi di una sindrome metabolica dovuta a una grave condizione di disidratazione”.

Una morte tormentosa e incivile, a mio avviso, per Stefano come per qualunque essere umano. Per chi esalta la sentenza Englaro, invece, la morte per disidratazione, a cui Eluana è stata sottoposta per decisione dei magistrati è una “dolce morte”.  Io credo che sia un modo di morire che non possa essere inflitto a nessuno, e che su questo dovremmo essere chiari. Chi ha a cuore la libertà di scegliere le terapie, dovrebbe anche ricordare che Eluana è stata sottoposta a un protocollo di morte stabilito dai giudici, senza aver mai dato il proprio consenso informato. Ben venga il dibattito sul biotestamento, ma aprendosi a un confronto leale.

Tratto da Europa del 27 novembre 2008

*sottosegretario alla Salute