Veltroni ricattato dai girotondi irrita il Quirinale

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Veltroni ricattato dai girotondi irrita il Quirinale

08 Luglio 2008

“Irritazione”: in questa parola sussurrata in modo discreto a orecchie discrete nel primo pomeriggio dalle stanze più importanti del Quirinale c’è tutto il succo del disastro personale e politico che giorno dopo giorno Walter Veltroni costruisce per se stesso e il suo Pd. Passano poche ore e l’irritazione si trasforma  – è notizia di metà pomeriggio – in una telefonata infuocata di Napolitano a Veltroni stesso, accusato – a ragione – dal presidente di avere tradito la parola data e addirittura di avere attaccato Fini proprio per attaccare il Quirinale. Solo un orbo politico, o un Tafazzi maldestro, non può non sapere infatti che dietro la proposta di mettere subito ai voti delle Camere il “Lodo Alfano” non c’è una manina di Giorgio Napolitano, ma c’è ben di più, c’è tutto il suo peso e il suo prestigio politico. Per la prima volta dal 1992, in questi giorni infatti  il Colle ha lavorato sottotraccia non per sposare una parte – la sinistra – alla Scalfaro, o per fare la “manovra della Torre” e arroccarsi in un ruolo notarile alla Ciampi, ma per sciogliere attivamente un enorme groviglio politico. Napolitano ha promesso a sé stesso (e questo per lui conta molto) e al paese che avrebbe favorito il dialogo bipartisan per le riforme istituzionali, ormai drammaticamente indispensabili. Lo ha fatto, ha suggerito, vagliato, vigilato, espresso discreti pareri, compiuto atti, parlato con Letta, Veltroni, Casini e i loro emissari. Con successo (fino all’alzata d’ingegno di stamane di Veltroni che si è tirato fuori dall’accordo stipulato con lo stesso Napolitano)

Il risultato di quel lavorìo era stato appunto la immediata iscrizione in calendario della legge che concede immunità alle prime 4 cariche dello Stato. Vero obiettivo politico di Berlusconi e del Pdl che infatti è stato subito dopo disposto a ritirare l’emendamento “ammazzaprocessi” dal decreto sicurezza. Gianfranco Fini, da parte sua, non ha fatto null’altro se non formalizzare questa calendarizzazione urgente secondo le dovute forme. Ma a questo punto sono partite le palle incatenate contro Fini da parte di Veltroni e di tutto il Pd. Non ci vuole molto per capire che il cannone era puntato sulla Camera, ma che i proiettili erano diretti sul Quirinale. Da qui l’ira presidenziale. Tanto più forte perché l’unica, mediocre, giustificazione di questo ennesimo errore veltroniano è la paura del gruppazzo di manifestanti -scommettiamo che non saranno molti- che Di Pietro ha convocato per questo pomeriggio in piazza Navona. Ancora una volta, dunque, il ricatto della piazza, anche di una piazza forcaiola, volgare, impresentabile quale è quella di Di Pietro e Grillo, è considerato insuperabile da un leader ex Pci. Tanto insuperabile da portare Veltroni a “irritare” il Quirinale, dove siede per di più uno dei più autorevoli esponenti del suo partito, pur di non dispiacerla.

 Ora, si vedrà. Passata la manifestazione, cessate di fischiargli le orecchie, Veltroni dovrà decidere nei prossimi giorni quale atteggiamento tenere in aula a fronte del “Lodo Alfano” così sapientemente accompagnato dal Quirinale. Un suo autorevole compagno di partito, Giovanni Pellegrino, spiega oggi sul Corriere che la sua necessità deriva dal profondo cambiamento vissuto dalla Costituzione materiale. Spiega che Berlusconi non è stato scelto quale presidente del Consiglio dal Quirinale -a termini di Costituzione formale- ma è stato scelto dal voto popolare -secondo la Costituzione materiale- con tanto di nome scritto sulla scheda. Da qui, dalla forza politica di questa investitura democratica e diretta, la necessità di preservare la sua carica dalle attenzioni della magistratura, da qui il ruolo sovraordinato rispetto all’ordinamento giudiziario del premier (fino a tanto che è in carica). Veltroni, invece, sia arrocca ora alla Costituzione formale, mobilita i suoi soliti “cento-costituzionalisti-cento” e si abbandona all’unico gioco che sa fare: l’intrigo di palazzo, la manovra di corto respiro. Solo, che per non tradire il peggio di sé stesso, oggi ha tradito il meglio della storia del suo partito: Giorgio Napolitano. E nel farlo si è dimenticato anche una delle caratteristiche più note dell’inquilino del Colle: è vendicativo.