Veltroni scrive al Cav. di Costituzione ma perde di vista l’essenziale
09 Aprile 2008
Perché Walter Veltroni ha voluto scrivere una lettera a Silvio Berlusconi non è dato saperlo. Mancano cinque giorni alle votazioni, e durante tutta la campagna elettorale lo stesso Veltroni ha tenuto a non volere nominare mai il suo avversario. Ora gli scrive addirittura una lettera pubblica. I più maliziosi potrebbero pensare a una prima mossa di avvicinamento in attesa di una futura grande coalizione. Chissà. Quello che lascia perplessi, però, è il contenuto della lettera, ovvero la richiesta ad assumere l’impegno “a garantire formalmente e in modo vincolante” quattro fondamentali principi: la difesa dell’unità nazionale; il rifiuto di ogni forma di violenza; la fedeltà ai principi contenuti nella prima parte della nostra costituzione; il riconoscimento e il rispetto della nostra storia.
Innanzitutto: perché proprio questi quattro principi? Come se altri, e ce ne sono, non sarebbero altrettanto meritevoli di essere garantititi. E poi, perché l’impegno formale e vincolante? Come se si volesse dubitare della lealtà costituzionale di un leader e di uno schieramento proprio nel mentre sta partecipando a libere elezioni parlamentari.
Che tutti i cittadini sono tenuti a osservare la Costituzione e le leggi, ce lo dice chiaramente la Costituzione stessa all’art. 54; e quindi non occorre certo prendere impegni in tal senso. Altrimenti, il paradosso rischia di essere quello di assumere impegni su qualche cosa che già ci impegna come cittadini a fare, e cioè osservare la Costituzione. Aggiungo, che nel caso del presidente del consiglio e i ministri, questi sono tenuti a giurare fedeltà alla Costituzione nel momento in cui ricevono la nomina (art. 93 Cost.). Con una precisazione: giurare fedeltà alla Costituzione, vuol dire giurare fedeltà anche all’art. 138 della Costituzione, che prevede la procedura per riformare la Costituzione. Quindi fedeltà non vuol dire immodificabilità costituzionale. Salvo che si tratti della “forma repubblicana”, che non può essere oggetto di revisione costituzionale.
Vediamo più in dettaglio i quattro principi che Veltroni raccomanda di rispettare e garantire. Primo: la difesa dell’unità nazionale. Non mi pare che sul punto possano esserci dubbi; rompere l’unità nazionale vorrebbe dire attuare forme di secessionismo, che sarebbero contrarie a Costituzione e, soprattutto, all’Unione europea e al costituzionalismo europeo. Ridisegnare in maniera più coerente il disorganico federalismo italiano, invece, non sarebbe affatto andare contro l’unità nazionale. Ricordo come dal 2001, anno in cui è entrato in vigore il nuovo Titolo Quinto della Costituzione, il concetto stesso di unità nazionale si è sfocato, anche perché messo alla dura prova dalla continua tensione legislativa e giurisdizionale fra Stato e Regione. Questo perché il legislatore di allora volle cancellare, assai improvvidamente, il concetto costituzionale di “interesse nazionale”, che dava forma e sostanza anche all’idea di unità della Nazione.
Secondo: il rifiuto di ogni forma di violenza, attuata o anche solo predicata. Come non essere d’accordo? C’è davvero bisogno di chiedere un impegno “formale e vincolante” su questo punto? Suvvia…
Terzo: la fedeltà ai principi contenuti nella prima parte della nostra Costituzione. Qui vale il discorso fatto prima. Con un’aggiunta: non mi pare che dai programmi elettorali emergano proposte di modifica della prima parte della Costituzione, nemmeno migliorative delle norme vigenti. Semmai l’idea di eleggere un’assemblea costituente potrebbe portare a ripensare e riscrivere la prima parte della Costituzione. Finora, i progetti di riforma hanno interessato soltanto la seconda parte. Come anche nella legislatura appena trascorsa, con il progetto approvato dalla Commissione affari costituzionali della Camera, presieduta dall’on. Violante, che prevedeva il superamento del bicameralismo perfetto, il rafforzamento dei poteri in capo al presidente del consiglio e la riduzione del numero dei parlamentari: proposte già presenti nel progetto di riforma costituzionale del 2005, che non ebbe l’approvazione del corpo elettorale tramite referendum.
Quarto: il riconoscimento e il rispetto della nostra storia, della nostra identità nazionale e dei suoi simboli, a cominciare dal tricolore e dall’inno di Mameli. Posto che il tricolore è anche il simbolo anche dello schieramento del leader destinatario della lettera, e quindi parrebbe assurdo volerlo sopprimere, ma la richiesta di riconoscimento e rispetto della nostra storia suona così generica da non essere compresa. Che vuol dire il riconoscimento della nostra storia? Si può immaginare di cambiare la storia? Semmai –ma questo è compito della ricerca scientifica da parte degli storici- si possono prevedere nuove e libere interpretazioni dei fatti storici. Ma allora la raccomandazione contenuta nella lettera andrebbe fatta agli storici e non al leader di uno schieramento politico…
C’è un aspetto che avrebbe meritato un serio scambio epistolare tra i due leader degli schieramenti che ambiscono a ottenere la maggioranza parlamentare. E’ il seguente: in Italia vi è una adeguata “vita costituzionale”? E cioè un modo di far vivere le istituzioni e un metodo per farle sviluppare, affinché siano messe in condizione di garantire ordine-progresso-libertà-benessere alla cittadinanza. Perché se compariamo la qualità della %E2