Vendola non può tirarsi indietro sui danni ambientali delle rinnovabili
28 Gennaio 2011
Fino a qualche anno fa, un turista che si fosse messo a percorrere l’Italia da Nord a Sud avrebbe riconosciuto la Puglia dalle grandi distese di grano della capitanata, dagli uliveti del barese, dai trulli della Valle d’Itria e dai caratteristici muretti a secco che innervano la campagna salentina dalla costa adriatica a quella ionica. Facendo lo stesso percorso, oggi, quel turista si accorge di essere entrato nel territorio regionale da ben altro: infatti, prima si imbatte in foreste di torri eoliche e poi in distese di silicio scuro, componente fondamentale dei pannelli fotovoltaici.
La Puglia bella, la Puglia caratteristica, quella rurale e marittima sembra insomma cozzare con gli impianti produttivi delle cosiddette energie alternative. Ed oggi ad allarmare è soprattutto la questione fotovoltaica, perché rischia davvero di danneggiare in maniera irrecuperabile il territorio. A differenza, infatti, delle pale eoliche, che costituiscono più che altro un problema (non certo secondario) di natura paesaggistica, gli specchi di silicio producono ricadute pesanti sull’agricoltura, sull’ambiente e sulla natura stessa dei terreni. Occupare spazi con distese di pannelli, infatti, significa di fatto lasciare quel terreno alla desertificazione, tant’è che è quasi impossibile recuperarlo per uso agricolo dopo una ventina d’anni in cui è stato completamente impoverito dalla mancanza di vegetazione, costituendo causa di dissesto idrogeologico.
E così, da destra a sinistra, anche la politica ha iniziato a porsi seriamente il problema. Innanzitutto, si registra la minaccia espressa dal presidente della Regione Nichi Vendola nei confronti del Governo nazionale, ossia la ventilata possibilità di porre in essere una vera e propria iniziativa di diffida nelle sedi giurisdizionali perché alla Puglia mancherebbe – a dire del governatore – la quota di ripartizione di produzione di energia rinnovabile spettante per legge ad ogni Regione. "Su questa battaglia – dice Vendola – andremo fino in fondo e chiederemo a ciascuno di assumersi le proprie responsabilità".
L’idea del governatore pugliese sarebbe quella di realizzare un’azione politica coordinata con le altre Regioni "che possa stringere e strattonare il Governo centrale perché si occupi del fatto che l’energia rinnovabile non può essere un business devastante per l’ambiente, ma un modo strategico di ripensare un pezzo altrettanto strategico della nostra vita, come diminuire l’inquinamento". In altri termini, il presidente della Puglia sostiene che, sussistendo mancanze governative, non si riuscirebbe a sapere quello che è stato concesso dai Comuni con le Dia (dichiarazioni di inizio attività, ndr), con le conseguenze oggi visibili. "Per questo – conclude Vendola – nella cabina di regia per il decentramento chiederemo a Province e Comuni, anche con l’uso di poliziotti e agenti, il censimento di tutti quegli impianti, per costituire l’anagrafe e conoscere qual è il limite oltre il quale non si può andare". Insomma, per Vendola le colpe del disastro sarebbero da attribuire o al Governo nazionale o ai Comuni, che avrebbero dato autorizzazioni a go-go, con il palesarsi persino di rischi di infiltrazioni poco trasparenti.
Secca ed immediata la replica del Governo, che per mezzo di Stefano Saglia, sottosegretario al Ministero dello Sviluppo economico, si è così espresso: “A Vendola, che farnetica sulle rinnovabili, ricordiamo che il Governo Berlusconi ha innanzitutto presentato a Bruxelles il piano di azione sulle fonti rinnovabili. Procede inoltre il confronto interno con le Regioni sul decreto legislativo per la revisione degli incentivi per queste fonti alternative al 2020. In più, abbiamo aggiornato il conto energia per il solare al 2014. Vendola – continua il sottosegretario – dovrebbe prendersela con il Governo Prodi, che ha impostato regole dissennate alle quali stiamo ponendo rimedio. Ne è testimonianza il parere favorevole della Conferenza Stato Regioni sui nostri provvedimenti". Tagliente e diretta, poi, la conclusione di Saglia, secondo cui “la Regione Puglia si è infilata in un vicolo cieco e non sa più come uscirne perché, dopo aver predicato la green economy, ha creato solo confusione sul suo territorio”.
In effetti, le battaglie per la Puglia verde, tutta agghindata di ogni fonte rinnovabile, erano state incontestabilmente un pallino del governatore Vendola, che sull’ambiente aveva mosso battaglia contro un centrodestra a suo dire poco sensibile al tema. Eppure, la tutela dell’ambiente passa inevitabilmente per quella del paesaggio e per quella della destinazione dei terreni, che di norma dovrebbero essere dati o alla selvicoltura, o alla produzione agricola. Il silicio, insomma, non è propriamente indicato allo scopo e durissima sembra essere la posizione espressa dal centrodestra pugliese sul punto.
Ad intervenire a nome dell’opposizione pidiellina in Consiglio regionale è stato Rocco Palese, capogruppo del partito di Berlusconi e sfidante del politico di Terlizzi alle ultime consultazioni per la guida di Via Capruzzi. "Sulle rinnovabili Vendola può diffidare solo se stesso. Quella delle quote – dice Palese – è una pura invenzione di Vendola. L’assessore Capone sperava forse di rientrare da Roma l’altro ieri con una quota massima indicata dal Governo nazionale oltre la quale la Puglia non poteva più autorizzare insediamenti, così l’avrebbero usata come un’arma, proprio come usano il Piano di Rientro: avrebbero sbandierato il limite posto dal Governo nazionale alle oltre 800 aziende in attesa di risposta su nuovi insediamenti di eolico e fotovoltaico in Puglia e avrebbero detto agli imprenditori che, per colpa del Governo Berlusconi, non potevano dare le autorizzazioni". In altri termini, per il capogruppo dell’opposizione regionale, se di quote si può parlare, si tratta di quote minime e non massime, che le Regioni tra loro devono definire trovando un accordo, per arrivare al 2020 producendo minimo (e non massimo) il 17% di energia da fonti alternative.
La tesi del Pdl è chiarissima e la esprime in maniera inequivocabile lo stesso Palese: in sostanza, fino a ieri il Governo regionale si sarebbe vantato del primato pugliese sulle rinnovabili e sarebbe andato tutto bene se solo la Regione non si fosse fatta prendere dal furore ideologico, ma avesse instaurato invece un sistema di regole e controlli. Oggi gli amministratori regionali, davanti al problema, cercano di incolpare il Governo Nazionale di future e ipotetiche catastrofi. "Ma in Puglia – dice Palese – in questo settore è già accaduto tutto ciò che di negativo poteva accadere: è già evidente il massacro dell’ambiente e del paesaggio, senza alcun vantaggio per i cittadini, né dal punto di vista di sgravi sulle tariffe dell’energia, né da quello degli incentivi all’autoproduzione. Così come già si pone il problema di chi, come e a che prezzo tra vent’anni dovrà smaltire pannelli fotovoltaici e torri eoliche".
A gettare acqua sul fuoco ci ha pensato il Prefetto di Bari Carlo Schilardi il quale, assicurata la vigilanza continua delle forze di polizia su una questione che, come ogni business, potrebbe aprire le porte ad episodi di illegalità, ha invitato da parte sua a non criminalizzare gli imprenditori che decidono di investire sul settore e a riflettere pacatamente.
Del resto, la questione è davvero seria e la riflessione è necessaria, a patto che Sagunto non sia espugnata mentre a Roma si tiene consiglio. Mentre, infatti, il Governo nazionale cerca di trovare una soluzione al degrado paesaggistico ed ambientale della Puglia migliore, il territorio pugliese, da verde che doveva essere, rischia di diventare grigio-silicio, e sempre avvelenato da quel carbone che continua a bruciare a Cerano.