Venezia ospita Chavez e la Rai non manda in onda “La minaccia”
08 Settembre 2009
di redazione
C’è voluto che Hugo Chávez si recasse a Venezia a presenziare al documentario in ginocchio su di lui girato da Oliver Stone, perché finalmente andasse in tv dopo due anni di censure l’altro documentario La minaccia. South of the border si intitola il film del regista americano, “A sud del confine”. La tesi è che il presidente venezuelano non sarebbe l’anti-americano arrabbiato descritto dai mass-media, ma un brav’uomo che cerca semplicemente di mantenere il controllo delle risorse del suo paese. "Sono stato invitato per la prima volta da Chavez in Venezuela nel 2007", ha spiegato Stone al Guardian. “L’uomo che ho incontrato non era quello di cui avevo letto e sentito parlare dai media Usa”. Nel documentario di Stone ci sono poi altri personaggi della recente ondata di sinistra in America Latina, moderati e radicali. Ma il cuore della storia è Chávez, che alla fine dà a Stone una metaforica pacca sulle spalle. “Credimi Oliver, ce la faremo a cambiare il mondo”.
Come fa Oliver Stone a ottenere scoop del genere? C’è un metodo infallibile, e consiste nel fare l’esatto contrario degli autori della Minaccia. “Venezuela 1998”, è la scritta con cui inizia quest’altro documentario. “Hugo Rafael Chávez Frías diventa il primo presidente meticcio nella storia del Paese. È la scintilla che innesca cambiamenti radicali: una nuova Costituzione, un impianto socialista dello Stato, la nazionalizzazione delle materie prime, la redistribuzione della ricchezza. Inizia la Rivoluzione Bolivariana. Presto tutto il continente latinoamericano ne sarà contagiato”. La marchigiana Silvia Luzi e il campano Luca Bellino, lei giornalista free lance che collabora con la Rai, lui documentarista e anche titolare di un corso in un Master a Roma Tre, sono due trentenni stanchi di un’Europa dove “da Berlusconi a Sarkozy e Putin la pubblicità passa per politica e dove la sinistra è una parola e nulla più”. La loro speranza è che Chávez sia “una risposta alla fine delle ideologie”; la loro illusione di “vedere cambi”.
Si presentano al colonnello, e il colonnello se li prende in palmo di mano. Se li porta in giro in aereo e in elicottero. Li esibisce al suo programma tv Aló Presidente. Si mette per loro a cantare canzoni di Domenico Modugno: “La distancia es como el viento/ apaga los fuegos pequeños y enciende quello grandes”. E, soprattutto, gli elargisce le pillole della sua saggezza. “Il Venezuela era un Paese conquistato dall’Impero per il petrolio. Lo abbiamo liberato”. “Mi arrischio perfino a parlare di Socialismo petrolifero venezuelano, Non si può concepire il modello economico che vogliamo costruire nel Venezuela socialista senza includere la goccia di petrolio”. “La resistenza al cambio è una cosa naturale: se provi a sollevare una pietra grande essa si rifiuta a farsi sollevare”. “Sempre ho avuto molto chiaro che la comunicazione è parte essenziale per la leadership, per la conduzione, per l’orientazione di un popolo”: “è come mettere in batteria l’artiglieria pesante e iniziare a bombardare”. Insomma, la loro è la stessa grande occasione che Gianni Minà ebbe con Fidel Castro: essere proiettati alla fama mondiale come storiche casse di risonanza per un carismatico caudillo.
A differenza del furbissimo Minà, però, Silvia e Luca sono due sciagurati. Avendo già il grande scoop in mano, si ostinano a andare in giro, a fare domande e riprendere immagini. Indubbiamente, registrano fede, speranza, fervore. “È una cosa meravigliosa, ora ci sentiamo più venezuelani che mai”. “Il presidente è un uomo unto da Dio”. “Presidente Chávez, ti amiamo, ti adoriamo!”. Alla professione di fede di una nonnina rivoluzionaria è dedicato un contenuto extra. “La rivoluzione serve dovunque. Se non c’è una rivoluzione non c’è niente. Io sono venezuelana venezuelana, sono una donna povera, non ho niente, io chiedo che lascino comandare il Comandante Chávez perché ha una proposta”. “Ay, con te staremo/ gridando chiaro e forte/ socialismo, patria o morte/ sicuro che staremo”, canta un’orchestrina.
Gli italiani sdraiati sotto agli ombrelloni del centro Italo-Venezuelano di Caracas e in fila davanti al Consolato per andarsene rappresentano un robusto controcanto. “Abbiamo paura di finire come Cuba”. “Sta crescendo la povertà”. “Tutti gli stranieri pensano di andarsene”. Un ex-dipendente della società petrolifera di Stato Pdvsa licenziato dopo sette anni spiega la Lista Tascón: “tutta la gente che ha messo la firma contro il governo gli hanno messo la x. Non servi, va via!” Ma il loro club e la loro pelle bianca corrispondono forse un po’ troppo allo stereotipo che la propaganda chavista dà degli oppositori: così come del resto gli studenti che sono scesi in piazza, anche se il documentario mostra molto materiale inedito sulla violenza con cui la polizia li ha dispersi.
Ma anche nei ranchos, i quartieri informali, la gente si lamenta. “Il materiale di questo tetto fa male ai polmoni”, è un commento sull’edilizia popolare di regime. “Non c’è pollo né latte né zucchero”, spiegano sconsolati in uno spaccio rivoluzionario Mercal. “Evitare i commenti negativi quando abbiamo visite” è scritto nel regolamento appeso al muro di una Cooperativa Socialista i cui dipendenti si sono mostrati particolarmente entusiasti. “Abbiamo votato tutti per Chávez, ma Chávez ci ha levato la corsa dei cavalli in tv”, protestano in un altro rancho, dove hanno organizzato una specie di servizio alternativo attraverso un cellulare all’ippodromo e un altoparlante. “Il nostro presidente è molto vicino a noi. Ma in certa forma sembra che la realtà sia virtuale. Pensa che tutto stia funzionando in modo perfetto”, è l’opinione di una donna di un altro rancho dove per la mancanza di acqua la gente è costretta a scavarsi pozzi da sola.
Intanto i due si rendono conto che le loro e-mail appaiono lette senza che loro le abbiano aperte, mentre le loro telefonate vengono intercettate. Ha spiegato loro Chávez che si sta armando fino ai denti perché si sente minacciato dagli Stati Uniti: ma anche gli Stati Uniti si sentono minacciati da Chávez; si sentono minacciati gli oppositori; si sentono minacciati tutti i venezuelani, da un tasso di delinquenza che “ogni lunedì intasa gli obitori”; e, a questo punto, si sentono minacciati anche loro. Al momento di uscire scoprono che non possono portare via il materiale filmato, visto che sono entrati “con visto turistico”. Ci vorrà l’aiuto di Raffele Bonanni, allora in Venezuela, e dell’ambasciata per contrabbandarlo di fuori.
“La minaccia” diventerà dunque il titolo. Speciale Tigiuno lo compra per mandarlo in onda il giorno stesso del referendum del 2 dicembre del 2007, ma poi è sostituito da una commemorazione di Beppe Viola, e non andrà più in onda. Davvero c’entrano qualcosa i successivi contratti firmati a inizio 2008 tra Eni e Pdvsa, come sospetta qualche maligno? Il documentario è stato poi trasmesso in Francia, Finlandia, Inghilterra e Giappone, è andato in finale al Premio David di Donatello, ha ottenuto anche l’International Reportage Award, è uscito in dvd (Suttvuess, 86 minuti, Euro 14,90) è pure passato per qualche cinema e cineforum. Ma in tv p rimasto bloccato, con la Rai che ha fatto scadere i diritti, fino a quando appunto Chávez non si è presentatop a Venezia. A quel punto, Current su canale Sky 130 ha deciso di mandare il primo della Minaccia, in attesa di darlo il prossimo 21 settembre, alle 22,30. Meglio tardi che mai…