Verso un centro di gravità permanente (di G. Quagliariello)

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Verso un centro di gravità permanente (di G. Quagliariello)

Verso un centro di gravità permanente (di G. Quagliariello)

10 Ottobre 2021

Delle elezioni parleremo a urne chiuse. Fino ai ballottaggi, bocche cucite e ventre a terra a lavorare per i candidati del centrodestra.

Poiché però l’apnea elettorale non manda la politica in vacanza, e il primo turno delle amministrative qualche indicazione l’ha già offerta, soffermiamoci sulla scadenza più importante dei prossimi sei mesi e sugli effetti che la sua gestazione può produrre sul quadro politico: l’elezione del presidente della Repubblica.

Sette anni fa, quando fu eletto Sergio Mattarella, c’era un premier che era anche capo di un partito, di una maggioranza politica e di un più ampio progetto, che coinvolgeva settori dell’area moderata, di revisione del sistema attraverso una riforma costituzionale partita come condivisa (e finita come tutti sappiamo). C’era dunque un baricentro e c’era una tendenza centripeta che all’atto di scegliere il successore di Napolitano avrebbe potuto manifestarsi.

Oggi ci troviamo in una situazione completamente diversa. A Palazzo Chigi c’è un tecnico, la maggioranza che lo sostiene non è una maggioranza politica, il governo si configura come una compagine di unità nazionale con dentro di tutto un po’. Se dunque la scorsa volta la partita quirinalizia aveva una regia chiara e ben determinata (sorvolando su come questo ruolo è stato in concreto esercitato…), nella fase attuale il quadro è molto più liquido. Assai più simile a quello che portò alla rielezione di Giorgio Napolitano che al contesto in cui si determinò l’elezione di Mattarella.

Quest’ultima però, non certo per il nome individuato ma per il metodo con cui ciò avvenne, nel medio-lungo periodo fu fatale a chi guidava le danze. Il passaggio delle elezioni presidenziali rappresentò la pietra d’inciampo che portò al naufragio la riforma istituzionale e lo stesso governo, perché – come già detto su questo giornale in altre occasioni – si pensò di poter scegliere il garante delle istituzioni senza coinvolgere tutte le forze che le istituzioni stesse stavano contribuendo a riformarle.

Stavolta, partendo da una situazione completamente diversa, bisognerebbe sfruttare l’appuntamento con la scadenza del settennato per innescare una dinamica diametralmente opposta. Insomma: se sette anni fa sul tornante presidenziale si sfasciò la riforma del sistema, oggi si potrebbe utilizzare questa occasione per cercare di ricostruire un percorso di revisione del quadro istituzionale e un progetto politico in grado di guidarlo. E forse è su questo terreno, più che sulla contesa per la leadership di qualcosa ad oggi inesistente, che dovrebbero applicarsi e misurarsi gli attori di quell’area centrale che potrebbe contare più di cento grandi elettori e, se solo lo volesse, menare le danze.

In che modo? Sul fronte istituzionale, lavorando a una omogeneizzazione delle leggi elettorali anche alla luce del taglio dei parlamentari (è impensabile che in una democrazia avanzata la vittoria dell’uno o dell’altro schieramento dipenda dal fatto che il sistema di voto sia a turno unico o a doppio turno…) e a un pacchetto circoscritto di riforme puntuali che potrebbero far evolvere il sistema italiano verso un cancellierato (senza vagheggiare grandi riforme, basterebbe davvero poco per razionalizzare il bicameralismo, rafforzare l’esecutivo e disciplinare i rapporti tra Stato e Regioni anche alla luce di ciò che è accaduto in questi due anni). Sul fronte politico, prendere l’abbrivio della modernizzazione del sistema e creare lo spazio per un cantiere non “centrista” ma centrale, non “moderato” ma improntato al pragmatismo e alla cultura di governo che guida l’operato dell’attuale presidente del Consiglio, che anziché puntare su una leadership – della quale ovviamente c’è pure bisogno – punti soprattutto su una classe dirigente, su una identità e magari anche su delle articolazioni interne. Uno spazio, insomma, che non sia attraversato da meteore o legato a destini personali ma possa configurarsi come contenitore ampio e strutturale in grado di esercitare il suo ruolo a prescindere dalle contingenze.

In sintesi: se sette anni fa dal centro si innescò una dinamica che distrusse un quadro esistente, oggi con Mario Draghi a Palazzo Chigi non c’è un’ipotesi da consolidare ma un’area tutta da costruire. Una sorta di grande CDU/CSU a sostegno dell’attuale premier e nella prospettiva della modernizzazione e della ripartenza del Paese.

E’ su questo che ci si dovrebbe cimentare, andando oltre i personalismi e lo stucchevole gioco dei leaderini. Lo spazio c’è (l’area centrale del sistema politico), l’occasione è prossima (l’elezione del presidente della Repubblica), una figura ispiratrice si trova attualmente alla guida del governo. Se usassimo numeri, idee ed energie per aprire il cantiere, piuttosto che per alimentare il cicaleccio quotidiano su “centrini” con tanti generali senza un piano di battaglia, potremo evitare fra qualche mese di rimpiangere l’ennesima occasione sprecata.