Vi spiego perchè il patibolo è giusto ma solo in guerra
27 Settembre 2007
Caro Direttore,
non posso non partire da
una premessa non so se tanto ovvia ma certamente necessaria: sono contrario alla pena di morte.
Proprio per questo vorrei spiegarle la ragione per cui in Senato non ho inteso
condividere la decisione di intervenire sulla Costituzione eliminando la
possibilità di far ricorso alla pena capitale “nei casi previsti dalle leggi
militari di guerra”.
Questa non irrilevante
particolarità – il fatto cioè che ci si riferisse alla legislazione del tempo
di guerra – nel dibattito non è stata presa in considerazione. Si è preferito
attestarsi su declaratorie di principio e su prese di posizione prevalentemente
ideologiche, forse condizionate dal clima d’attesa quasi messianica alimentato
attorno al discorso che di lì a qualche ora Romano Prodi avrebbe tenuto all’Onu
per sollecitare la moratoria universale delle esecuzioni capitali.
E’ finita che dalla
missione newyorkese del premier i cronisti al seguito hanno ricavato piuttosto
una richiesta di moratoria delle domande sulla crisi dell’Unione; mentre nella
sede del nostro Parlamento è stato pagato con troppa leggerezza, e con uno
spaventoso deficit di riflessione, un tributo al politically correct che
un’onesta retrospettiva storica avrebbe forse potuto evitare, e di cui speriamo
che non si abbia mai a doversi pentire.
Alla celebrazione di questo
rito mi sono consapevolmente sottratto. Anche per ragioni legate al mio
mestiere di storico, non posso far finta di non sapere quanto siano drammatiche
le scelte che si impongono in tempo di guerra. So anche che la storia della
nostra nazione, e della stessa libertà nel mondo, sarebbe stata diversa e
peggiore se non fosse esistito il tragico strumento del quale s’è deciso di
fare a meno.
Cosa ne sarebbe stato
dell’Italia se a Caporetto non ci fosse stata la possibilità di ricorrere alla
pena capitale? Cosa sarebbe stata la battaglia di Stalingrado, cosa lo sbarco
in Normandia, se a chi a denti stretti difendeva la libertà e la democrazia non
fosse stata concessa anche quest’arma? La guerra, pur con tutti i mutamenti,
resta una drammatica costante della storia, che a volte si è costretti a
subire. O forse non sta bene dire che sugli stessi scranni del Palazzo di Vetro
siede chi, come il presidente dell’Iran, di ogni pubblica sortita fa una dichiarazione
di guerra all’Occidente?
Al cospetto della realtà
gli Stati seri, responsabili e anche per questo democratici hanno il dovere di
non mettere la testa nella sabbia e di non disarmare. In queste situazioni le
crisi delle nazioni sono sempre morali prima che politiche o militari. Siamo
sicuri di averci riflettuto abbastanza? Siamo certi di aver ponderato le nostre
scelte, visto che in ossequio alla “bella politica” s’è deciso di cambiare non
il codice penale, cui in caso di nuove contingenze si può rimettere mano
agevolmente, ma la Costituzione, la cui modifica anche in situazioni
d’emergenza richiede sei mesi? I Costituenti, così spesso evocati dagli
antifascisti di professione, la guerra l’avevano messa in conto. E se mai
dovesse arrivare per davvero, non sarebbero i mesi a fare la differenza, ma i
giorni, le ore e addirittura i minuti.