Via il Porcellum ma dentro una grande riforma istituzionale
24 Agosto 2013
Sulla annosa e ormai, concedetecelo, noiosa questione riguardante la legge elettorale molto si è detto e scritto. Spesso, anche da queste pagine, abbiamo rilevato che nel nostro Paese il susseguirsi di riforme elettorali ha portato più danni che vantaggi e che, anche la migliore delle riforme, non può prescindere da una contestuale riforma costituzionale sulla forma di governo.
Ormai, infatti, anche lo schieramento di centrosinistra, che nel 2006 tanto fece per opporsi alla riforma costituzionale partorita dai quattro saggi di Lorenzago, accoglie l’idea che il superamento della idea del bicameralismo perfetto sia un passo imprescindibile in un mondo globalizzato dove la lentezza nel funzionamento delle istituzioni rappresenta uno dei più grossi ostacoli per un dignitoso progetto di governo, per una pianificazione delle priorità politiche e, anche, non da ultimo, per gli investimenti stranieri che vedono nel sottobosco politico italiano un autentico labirinto di incognite e trappole. Una legge elettorale davvero rappresentativa non potrebbe non riguardare, quindi, anche quella Camera delle Regioni, a rappresentanza locale, che connota, tra le diversità, i sistemi legislativi delle più grandi democrazie occidentali.
Un’altra incognita che dovrà affrontare il legislatore, nel pensare il disegno di legge, sarà la questione dell’elezione diretta o meno del Capo del Governo. La Costituzione, com’è oggi, non lascia molti spazi all’immaginazione. Il Presidente del Consiglio viene scelto dal Capo dello Stato davanti al quale può giurare anche senza la sicurezza di avere la fiducia. Sarà poi suo compito andarsi a ricercare una maggioranza in Parlamento e, in caso di fallimento, egli sarà destinato a rimanere in carica, seppur per gli affari correnti. Un potere non da poco, se ci si pensa, E il tutto senza che gli elettori (e i loro diretti rappresentanti, i parlamentari) possano far nulla. Un meccanismo questo, che raramente è stato posto in essere, ma che consegna sulla carta al Presidente della Repubblica un potere amplissimo.
In realtà con il Porcellum ancora in vigore si pose un correttivo di dubbia legittimità: nel tentativo di non violare direttamente la Costituzione, l’allora ministro Calderoli, con l’ausilio dei consulenti giuridici del presidente Ciampi, introdusse l’indicazione del candidato Presidente nella documentazione di presentazione delle liste e nella scheda (e visibile nel simbolo) creando qualche imbarazzo tra i costituzionalisti che vedevano, in questa norma, una limitazione della scelta del Capo dello Stato. E non è peregrina l’idea che a dicembre, in sede di controllo di legittimità del Porcellum, un punto nodale per una eventuale incostituzionalità sarà proprio rappresentato da questa disposizione. Se infatti, il Capo dello Stato, per qualsiasi ragione, si rifiutasse di nominare il Presidente del Consiglio il cui nome era indicato nella scheda elettorale e risultato poi il leader della coalizione vincente, cosa accadrebbe?
Stando a una stretta interpretazione del dettato costituzionale difficilmente, pur in una situazione assurda, si potrebbe dar torto al Capo dello Stato. Volendo quindi arrivare alla elezione diretta del Capo del Governo si dovrebbe prima modificare l’art. 92 della Costituzione. Può forse ignorare una legge elettorale moderna questo ostacolo fondamentale? No di certo. Se poi, da questa riforma costituzionale uscirà fuori un sistema semipresidenziale o un cancellierato poco importa. Il punto nodale è necessariamente un altro. Ad oggi, dubbi non ce ne sono: il Presidente del Consiglio non ha, se non in via indiretta, legittimazione popolare.
Ultima questione, non meno importante, riguarda il rapporto elettore-eletto, e i meccanismi che intercorrono tra le due categorie. Tra le sue lacune, forse, il sistema dei collegi uni o plurinominali ha rappresentato nel nostro Paese, sia in età monarchica che repubblicana, il miglior modello mai introdotto. Il riconoscimento dell’eletto da parte dell’elettore è non solo un diritto fondamentale ma anche una regola di civiltà che, con l’attuale sistema calderoniano, è stata calpestata in modo vergognoso. E il fatto che questa legge stenti da anni a trovare un “padre” la dice lunga su quanto sia evidente la sua totale inadeguatezza sotto un piano formale-tecnico e sostanziale. Una nuova legge elettorale che non vada di pari passo con questi punti focali rischia, con ogni probabilità, di fare la stessa fine di quella vigente. Anche se sarà difficilissimo far peggio.