Viaggio non moralista ma cristiano nel nichilismo che attanaglia l’Occidente
17 Giugno 2012
di Luca Negri
Come insegna la saggezza popolare, l’ospite dopo un po’ puzza. Che dire a questo punto di un ospite che si aggira nella casa della nostra civiltà da ben più di tre giorni? Diceva Martin Heidegger che il nichilismo non possiamo metterlo alla porta, né far finta che non abbia piantato le tende sotto il nostro tetto. Si tratta di un ospite da guardare bene in faccia, da affrontare, fronteggiare. Ai tempi del filosofo tedesco l’avanzata del niente nel pensiero era abbastanza recente, ancora risuonavano i primi oracoli, i primi solleciti allarmi in vista del futuro nichilismo europeo lanciati da Nietzsche alla fine del secolo XIX. Oggi la puzza di decomposizione di quella malattia occidentale fa parte del nostro paesaggio, la mancanza di valore e di senso riconosciuto all’esistenza ha contagiato l’intera società, l’accidia disillusa ostentata dalle élite intellettuali del primo Novecento è diventata pratica quotidiana, quasi sempre inconsapevole, di casalinghe disperate, studenti ribelli e secchioni, serial tv e programmi politici. E non tutti se ne dolgono, soprattutto se devono piazzare merci dentro il nostro vuoto, non tutti se ne accorgono di questa puzza. A qualcuno parrà anzi un profumo, familiare, rassicurante, a buon mercato.
Forse non a caso Luigi Iannone ha intitolato il suo ultimo saggio “Il profumo del nichilismo” (Solfanelli editore), un “viaggio non-moralista” (giacché è inutile fare prediche, semmai è ora di dare buoni esempi) nello stile del nostro tempo, nella nostra civilizzazione che nasconde dietro roboanti parole magiche come “libertà, globalizzazione, emancipazione” la sua mancanza di mete elevate dal piatto orizzonte del capitalismo postmoderno, dalla palude della società liquida e liquidata, dal campionario di edonismo disperato in parata per le strade e sugli schermi. Proprio cosa nostra, comunque, prodotti della nostra cultura o meglio di una sua degenerazione. Ospite che ha ben poco di abusivo, che non è entrato scassinando; ha fatto un bel po’ di danni (basta dare un’occhiata ai libri di storia per trovare abbondanza di testimonianze) ma siamo stati noi a spalancare la porta. Inutile strepitare per l’arrivo dei barbari, siamo noi stessi i barbari, i vandali distrutturi, proprio in virtù del nostro essere tardo-moderni, per aver creduto “fideisticamente a tutto ciò che di nuovo il progresso ci prospetta”.
Il cartesiano ergo sum ormai dipende dal verbo consumo, non più dalla capacità di pensare; “è scoraggiante ritornare a Marx”, scrive Iannone, ma il consiglio di riprendere in mano le sue diagnosi giovanili sull’alienazione e sui bisogni indotti hanno qualcosa da insegnare, più che mai oggi. L’eredità dell’idealismo tedesco non è certo passata alla classe operaia, come profetava l’ottimista barbuto di Treviri, anzi è stata messa in un angolo da un certo pragmatismo anglosassone non meno materialista ed intrinsecamente nichilista di quanto fosse il marxismo. Mancano serie risposte ai problemi economici, alla questione sociale, il catalogo degli esperti di settore rimane quello delle ideologie ottocentesche, siamo ancora fermi alla dicotomia fra liberalismo e socialismo, soluzioni tecniche trasformate in assoluti metafisici. Al massimo ci viene offerta la possibilità di esercitare un pochino di filantropia digitale mandando un sms per i terremotati, nostra versione low cost delle ingenti beneficenze attribuite alle star di Hollywood.
Possiamo fare il nostro dovere di buoni esseri umani ciccando un “mi piace” su di un link di Facebook che denuncia il destino dei cani randagi in Ucraina, ed intanto ignorare la classica vecchietta in difficoltà per attraversare la strada. Possiamo firmare commenti pieni di sdegno e punti esclamativi contro le stragi di bambini in Siria, senza minimamente informarci sulle reali responsabilità. Nietzsche previde proprio tutto ciò quando scrisse di un “moralismo privo di retroterra religioso” come via diretta al nichilismo. Nella confusione fra causa ed effetto, possiamo tirare in ballo anche gli applausi ai funerali, estrema conferma della spettacolarizzazione del sacro, del nostro horror vacui per il silenzio meditativo da esorcizzare come vediamo fare in tv, dato che potrebbe veramente mettere in crisi le nostre certezze (altro che lo spread…).
Scrive Iannone che la nostra filosofia è un umanesimo “senza uomo”, retto da sistemi astratti ed allucinazioni mediatiche, sotto l’amministrazione di un’Unione Europea votata ad “un indirizzo strategico di tipo aziendale”. Dunque, è sano continuare a far finta di niente? Lasciare ai nostri figli il messaggio che, escluso il codice a barre, “tutto vale tutto, e quindi niente ha veramente valore” (come lamenta Alain de Benoist nell’introduzione al saggio)? Possiamo turarci il naso o far finta che la puzza sia profumo? Gli insoddisfatti non mancano, per fortuna più fra i giovani che fra gli uomini maturi troppo affezionati alle decrepite certezze. Hanno la possibilità di mettersi all’ascolto di maestri che vegliarono mette tutto si ricopriva di macerie, Iannone si è occupato di alcuni di loro nelle sue opere precedenti: Prezzolini, Tolkien, Jünger. Quest’ultimo in particolare fu anche protagonista di un interessante confronto con Heidegger proprio sul problema del nichilismo, sulla consapevolezza del punto di non ritorno, “il meridiano zero” toccato dalla nostra civiltà nel suo smarrire il senso dell’esistere, il contatto con l’essere con l’e maiuscola. Heidegger concludeva che “solo un Dio ci può salvare”, per Jünger occorreva cercare dentro “il proprio petto” il centro di gravità permanente, come al tempo degli eremiti delle Tebaide. A ben riflettere, non si contraddicevano affatto, prova ne è il fatto che entrambi salutarono il nostro mondo con un funerale cattolico. Jünger si era convertito alla confessione romana poco prima della morte (che ricordiamo avvenne alla bellezza di centotre anni, dunque non gli mancò il tempo per riflettere in merito alla scelta). Solo un cristianesimo ripensato alla luce delle sfide portate dal tardo nichilismo, ancorato alla tradizione (che non significa retorica polverosa) ma pronta ad esplorare nuovi territori mistici, può mettere alla porta l’ospite ingombrante.