Violenza e utopia nella storia e nella politica. Due pesi e due misure

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Violenza e utopia nella storia e nella politica. Due pesi e due misure

03 Maggio 2007

Nel suo articolo di fondo apparso sul Corriere della Sera del 27 aprile, il politologo Ernesto Galli della Loggia ha messo l’accento sulla difficoltà di imporre in Italia una cultura della legalità, facendo in particolare riferimento alla simpatie sempre presenti nella cultura cosiddetta progressista verso l’utopia rivoluzionaria e rigeneratrice, che però, secondo Galli della Loggia, è sempre stata e continua a essere, portatrice di violenza. Per non fare che un esempio recente, si veda (aggiungiamo noi) il diffuso malcontento in ampi settori della sinistra contro le misure di imposizione della legge e dell’ordine in città, di cui è fatto oggetto il sindaco di Bologna Sergio Cofferati, ex-sindacalista al quale tutto si può imputare, tranne che di non essere “di sinistra”.

Sostanzialmente d’accordo con Galli della Loggia si dichiara lo storico Giovanni Belardelli (1 maggio), il quale ritiene che “nella varia presenza di culture rivoluzionarie vada cercata una delle principali ragioni … della diffusione della violenza politica”. Belardelli anzi mette l’accento sull’idea-guida della “rivoluzione tradita o interrotta”, che fu alla base tanto dell’ideologia mazziniana posteriore al Regno d’Italia, quanto delle insurrezioni popolari di fine secolo e inizio Novecento, fino al Fascismo, alla Resistenza e perfino al giustizialismo di Mani Pulite. Belardelli non le nomina, ma anche nelle Brigate Rosse di ieri e di oggi è evidente un alto tasso di utopia politica, anche se poi questo si esplica in puro e semplice terrorismo individualista.

È invece in disaccordo con Galli della Loggia, e dunque immagino anche con Belardelli, lo storico Giuseppe Galasso (29 aprile). In un articolo in cui egli tira in ballo un pantheon di antenati illustri alla maniera dei sussidiari scolastici di una o due generazioni fa (Cavour, Einaudi, Mazzini, Amendola, Turati, Saragat, Pannunzio, Romeo, Spadolini, Valiani, Jemolo), tralasciando forse, rispetto a quei sussidiari, i fratelli Bandiera e Cesare Battisti (l’irredentista, non il brigatista), Galasso sostanzialmente afferma che la violenza “è stata all’origine di tutte le democrazie moderne” e che senza di essa non ci sarebbero stati i movimenti “per l’indipendenza nazionale”, incluso il nostro Risorgimento (che fu, egli aggiunge, “molto meno sanguinoso e violento”). Insomma, conclude Galasso, senza violenza rivoluzionaria, niente “libertà” (qualsiasi cosa egli intenda con questa parola).

Due elementi colpiscono nell’articolo di Galasso. Uno è il quadro tutto nazionale in cui egli situa il suo discorso (“l’Italia e … la sua libertà”), quasi che la creazione degli stati nazionali dell’Ottocento sia stato di per sé un valore assoluto e anzi positivo, e non piuttosto un susseguirsi di catastrofi e di carneficine messe in moto e attuate da chi tragicamente confondeva il concetto assoluto di “libertà” (con il quale siamo sempre tutti d’accordo) con quello di liberazione dal cosiddetto “straniero”. Già il comunismo pre-stalinista, pur nella sua terribile utopia, aveva capito che il socialismo non si poteva fare “in un paese solo”. E gli stessi vituperati governanti angloamericani che hanno contribuito a imporre al mondo libertà e democrazia durante la Seconda Guerra Mondiale, e che oggi continuano a difenderle combattendo in Afghanistan e in Iraq (con i loro pochissimi alleati), sono ben consci che esistono valori universali assoluti per i quali vale la pena di combattere e di morire anche al di fuori dei confini del proprio paese per il bene dell’umanità. E qui non si tratta di “utopia”, ma di semplice mantenimento di un quadro normativo che è già patrimonio della parte migliore dell’umanità.

L’altro elemento che colpisce, soprattutto perché proviene da uno storico, è la lettura univoca del passato quale flusso di fatti ineluttabili ai quali non esisteva alternativa. Se la violenza “è stata all’origine di tutte le democrazie moderne”, sembra dire Galasso, è perché senza violenza (rivoluzionaria) queste democrazie non avrebbero potuto nascere. Ma è proprio questo utopismo rivoluzionario che sta alla base delle violenze di ieri come di quelle di oggi. Questa ansia di pulizia, di fare finalmente i conti con il passato, di risolvere il problema una volta per tutte (vedi lo sterminio dei khulaki in Unione Sovietica, l’idea nazista della “soluzione finale”, la campagna di rieducazione delle Guardie Rosse in Cina), che porta tanti utopisti che si credono progressisti e “di sinistra” a farsi essi stessi metro del bene e del male e a guardare con simpatia, o quantomeno a giustificare in base a generiche cause “storiche e sociali”, l’illegalità diffusa, a Napoli come a Bagdad, a Bologna come a Kabul.

Eppure, ieri come oggi, gli uomini e le donne sono persone che scelgono, individualmente e con cognizione di causa, anche se ognuno in modo diverso, e non barchette in mezzo all’oceano sballottate da flutti incontrollabili. È vero: la Guerra Civile inglese ha disastrato un paese, ma poi non ce ne sono più state, e la Gloriosa Rivoluzione del 1688 fu “gloriosa” proprio perché non portò a spargimenti di sangue. È vero: la Rivoluzione Americana (1776-83) è stata una sanguinosa guerra civile, che a sua volta ne ha causata un’altra, la Guerra Civile vera e propria (1861-5), la prima guerra moderna della storia, preludente ai macelli ingiustificabili della Prima Guerra Mondiale (altro che liberazione “dallo straniero” e completamento dell’Italia). Ma il Canada, allora così simile agli Stati Uniti, ha evitato qualsiasi rivoluzione e oggi è tra i paesi migliori al mondo. È vero: la Rivoluzione Francese ha imposto con la violenza alcune idee che oggi sono patrimonio dell’umanità. Ma ha anche portato alla morte violenta di milioni di esseri umani. Quella “violenza rivoluzionaria” non fu affatto necessaria.

Un conto è studiare il passato da storico e cercare di spiegare com’è andata. Un altro conto è dire che non esistevano alternative e che è andata bene così e che, senza violenza, come dice Galasso, la moderna democrazia non ci sarebbe stata. Gli uomini e le donne scelgono, quelli del passato così come quelli del presente. Personalmente, scegliamo di combattere qualsiasi simpatia, o condiscendenza, o tolleranza verso l’illegalità, anche quando queste si ammantano di ideali politici. Riteniamo altresì che l’impegno giornaliero per il rispetto della legge e la repressione dell’illegalità diffusa sia una della priorità fondamentali. Nelle ultime righe del suo articolo, parlando dell’oggi, Galasso si dice d’accordo nel condannare la “permissività di un conformismo populistico e demagogico”. Perché invece, per quanto riguarda il passato, Galasso sembra negare agli uomini e alle donne di allora la capacità individuale di scegliere?

codignol@unige.it