Vita, morte e “miracoli” dello sceicco del terrore

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Vita, morte e “miracoli” dello sceicco del terrore

27 Aprile 2008

“La madre di Osama bin Laden, Alia al-Ghanem, aveva circa quindici anni quando lo partorì. Mohamed bin Laden divorziò da lei poco dopo, probabilmente quando la ragazza non aveva ancora diciotto anni. All’epoca Osama era il suo unico figlio… Alia venne data in sposa da un marito all’altro; Mohamed la offrì in moglie a un amministratore di medio livello che lavorava per la sua azienda. Si chiamava Mohamed al-Attas… al-Attas era un uomo gentile, e divenne un marito e padre affettuoso; lui e Alia ebbero quattro figli e inserirono Osama in un tipico nucleo familiare saudita”. Parola di Steve Coll, autore de Il clan bin Laden, giornalista e scrittore Usa, due Pulitzer alle spalle, per quanto concerne la preistoria dello “sceicco del terrore”.

Il libro è una vasta e minutissima ricostruzione dell’ambiente ristretto in cui si forma e da cui in seguito si stacca il ricercato numero uno del cosmo. Risultato: un ritratto vasto, persino troppo minuto. Conosciamo in questo modo la grandeur della famiglia d’origine, la sua ascesa inarrestabile al top dell’Arabia Saudita, la sua intimità con la casa regnante, le manie del gruppo, il profilo dei suoi pezzi da novanta.

Per una parte consistente del volume, seicento e rotti fitte pagine, inseguiamo le gesta prima del fondatore, uno yemenita che si fa largo a colpi di fantasia, tenacia e astuzia fra le more del potere di Riad, Gedda, Mecca e Medina. Fa fortuna e mette insieme un autentico impero grazie al boom edilizio indotto dallo sfruttamento intensivo dell’oro nero. Poi conosciamo da vicino i fratelli, i protagonisti del consolidamento del business, gli attori dell’internazionalizzazione dell’azienda bin Laden. Moderni manager e insieme uomini della tradizione. Figure doppie, capaci alternare contiguità con modi e stili di vita del grande circuito degli affari, a un altrettanto forte attaccamento all’universo dell’Islam, a suoi riti e alle sue chiusure.

Fra rigidità tradizionali e aperture all’Occidente cresce il giovane Osama. Studia in scuole esclusive ma frequenta anche il giro dei “Fratelli che predicavano il ripristino dell’Islam nella politica araba”. E così per molto tempo, sino alla rottura formale con il clan d’origine.  Si tratta, peraltro, di un distacco lento, gradualissimo, forse mai del tutto completo. Così quando il  ricco saudita oggi sinonimo di terrorista si fa le ossa nella lotta antisovietica in Afghanistan, i suoi non gli lesinano di certo aiuto e sostegno economico.

In quella stagione, qualche modo Osama lavora anche per pezzi della nomenclatura di Riad, piuttosto interessati a non perdere di vista certi ambienti radicali dell’Islam.

Un equilibrio complesso, un intreccio di spinte non facilmente governabili, tant’è che quando Osama sfida apertamente il grande Satana yunkie, le dinamiche si complicano, i fili apparentemente si spezzano. Lo sceicco del terrore viene così ripudiato dai suoi e, persino più seccamente, espulso da quell’elite saudita in cui è cresciuto e di cui un esponente di tutto rispetto.

Coll racconta bene le difficoltà del clan. Soprattutto della sua parte più occidentalizzata. A cominciare dalla precipitosa fuga di molti dei suoi membri, post-11 settembre,dagli Stati Uniti.

Segue un lungo lavorio per arginare i danni. Per tenere in piedi l’holding, e soprattutto per separarne i destini dal deviato congiunto. Coll parteggia per la buona fede dei bin Laden ufficiali. Crede

 nella loro sincerità quando si dichiarano estranei al mondo di Osama. Eppure qualche riserva la mantiene, magari solo per quanto riguarda chiusura totale dei canali di comunicazione

fra spezzoni del clan e lo sceicco del terrore.

Steve Coll, Il clan bin Laden, Rizzoli, pagine 638, euro 22,00.