Vita spericolata, gaudente e tormentata di Bologna
14 Dicembre 2008
Chi penserebbe che un pezzo significativo di storia degli ultimi trent’anni possa essere raccontato da uno scrittore di successo catalogato “per adolescenti”? Quando alcuni anni fa lessi "Jack Frusciante è uscito dal gruppo" per non perdere il contatto con i figli che stavano crescendo e si riconoscevano in quel libro, rimasi stupita per quanto mi piaceva. Era scritto benissimo, pieno di ironia ma insieme di tenerezza per il mondo adolescenziale che descriveva, e risultava gradevole anche per un adulto: non sopra le righe o melenso come tanta narrativa vero o finto-giovanile.
Ora Enrico Brizzi (autore di quel libro e in seguito di altri) racconta il nostro passato prossimo da par suo: indubbiamente sa scrivere, sa intercettare nelle sue pagine gli umori e i comportamenti di coloro che sono stati giovani negli anni Ottanta, e, forse perché legato visceralmente alla sua adolescenza e giovinezza, riesce a capire adolescenti e giovani anche di epoche diverse dalla sua. Lo fa in un libretto che mima ironicamente nel titolo una famosa collana francese di storia (tradotta anche in italiano) dedicata alla vita quotidiana nelle varie epoche storiche che annovera fra i suoi titoli la celebre opera di Carcopino sulla vita quotidiana degli antichi romani: La vita quotidiana a Bologna ai tempi di Vasco.
La sorpresa stavolta è un’altra: Brizzi rievoca un’epoca, varie epoche che corrispondono ai decenni intercorsi fra la metà degli anni Settanta e oggi: quegli anni sono descritti in modo leggero, partecipe ma divertito. Il protagonista è Vasco (Rossi, non c’è bisogno di dirlo!), personaggio cult attorno a cui si muovono il libro e i suoi personaggi: Vasco insieme ai gruppi musicali allora in voga, ai cantautori affermati come Dalla e Guccini, ad abitudini e mode soprattutto musicali. Brizzi sceglie infatti come chiave di lettura del suo tempo e del nostro la musica leggera, quella ascoltata dai giovani; faceva così anche nel suo primo romanzo, dove la maglietta con l’effigie di Kurt Cobain e la sua figura subito mitizzata accompagnava tutta la vicenda. Questa chiave di lettura funziona benissimo non solo perché, in generale, vale il detto “dimmi che cosa ascolti e ti dirò chi sei”, ma a maggior ragione questo è vero per i giovani: la loro identificazione con generi e divi della musica è, normalmente, totale.
E’ con qualche stupore, dunque, che ci si rende conto che un libro così lieve, così deliberatamente pop, così spiritoso, riesce a raccontare trent’anni della nostra storia in modo più efficace di un buon manuale di storia (anche se aggiornato). Brizzi prende sul serio il suo compito: e parla della sua personale vita quotidiana all’epoca di Vasco, della sua vita da ragazzino e poi da studente, da universitario e infine da adulto. Quella che leggiamo è in effetti una autobiografia. Le cose che vi troviamo, però, a differenza del registro lieve a cui sono improntati stile e contenuto, sono serissime, e appartengono al mondo da cui Brizzi e i suoi personaggi si tengono lontani il più possibile: il mondo del lavoro, della cultura, dell’accademia, degli adulti, della politica.
Gli anni che culminano nel movimento del ’77 sono quelli dello scrittore bambino: già qui è efficacissimo il ritratto di un mondo basato su alcuni principi elementari: “L’epica resistenziale, il buon funzionamento del sistema pubblico e il dogma dell’infallibilità del Partito Comunista come guida verso il progresso erano i tre capisaldi di quello che, ora lo so, si chiamava ‘via occidentale al socialismo’.” E ancora: “Vistose eccezioni a parte, non esisteva la minima possibilità che l’amministrazione cambiasse colore, e ognuno lo sapeva: l’onda del ’68 era stata assorbita, gli ex ‘studelinquenti’ del ’77 avevano molti problemi d’identità, e così il buon ordine del PCI sembrava regnare da sempre sulla città rossa, che la grande esplosione del 2 agosto 1980, progettata per punirla, non fece che rinsaldare nella sua orgogliosa specificità.”
Brizzi non è certo tenero con i leghisti e i moderati che hanno fatto seguito alle amministrazioni rosse, ma riesce a descrivere con acutezza un sistema di governo e di potere che si basava sul consenso e sul consumismo. Così come evoca in una frase le vendette del dopoguerra che insanguinarono a lungo la regione, non dette in pubblico ma ben note. Si tratta, fra l’altro, della città che dà i natali alla famiglia Prodi della quale fa parte Romano: gustosissimo il racconto della fama del clan in città. E ancora, è la città del mitico DAMS di Umberto Eco, rivelatosi – ahimé! – difficilmente replicabile su scala di massa e con docenti diversi da quelli originari, e alla fine declinato anch’esso. E’ la città del Mulino, di una Università che da livelli di eccellenza in un passato anche recente è scesa fino a posizioni disonorevoli. E’ la città di Vasco, i cui fan – genuini e senza mediazioni – sembrano non avere alcun rapporto con il mondo della politica e della cultura appena evocato. Nel suo essere città periferica, provincia, Bologna è stata tuttavia una città che ha vissuto in prima persona le vicende più tormentate degli ultimi anni: dalla repressione del movimento autonomo del ’77 all’uccisione di Marco Biagi da parte delle Brigate rosse.
Il libro fa comprendere bene la parabola politica della città che è teatro dei ricordi dell’autore e patria di Vasco: quella Bologna passata in questi trent’anni da esempio di amministrazione onesta e di voto compattamente comunista a città governata da una lista civica di centro-destra, da città studentesca e ospitale a città pericolosa e con problemi di ordine pubblico, chiusa e diffidente. La vicenda per cui Bologna, simbolo del buongoverno comunista nella regione dal reddito pro capite più alto d’Italia, è passata dalla tradizionale amministrazione di sinistra prima alla destra e poi di nuovo a una amministrazione di sinistra guidata da Sergio Cofferati è descritta dall’interno e diventa chiara anche per chi non ne faccia parte. L’ultimo sindaco non ha mai stretto rapporti forti con i suoi concittadini, ha assunto misure d’ordine assai impopolari (e criticate da Brizzi), e annunciato pubblicamente poco tempo fa che non si ricandiderà. La débacle bolognese parve, all’epoca di Guazzaloca, come il simbolo e il concentrato della parabola discendente della sinistra nel paese: se perfino la guida di Bologna la rossa poteva passare di mano, allora tutto era possibile.
Dagli scrittori e dai registi, in questi ultimi anni, sono venute le opere più significative sul nostro tempo: Gomorra di Saviano ha colpito chiunque lo abbia letto per la precisione e l’intelligenza con cui racconta un fenomeno arcinoto. Film come L’imbalsamatore o Primo amore (dello stesso Matteo Garrone che ha realizzato per il cinema il libro di Saviano) hanno rivelato una provincia italiana disperata e ricca, industriosa e corrotta, onesta e depravata, sconosciuta al grande pubblico e trascurata da chi scrive. La mancanza di altre voci che si affianchino a quelle dei narratori e dei registi è il segno di una ritrosia degli studiosi attuali ad analizzare il mondo che li circonda, per non parlare dei giornalisti. Il mancato apporto di conoscenza sulla realtà in cui viviamo da parte di ricerche rigorose, un tempo provenienti dalle scienze sociali, non manca di far sentire i suoi pesanti effetti sul mondo della politica, sia a destra sia a sinistra. E’ prevalentemente in forma narrativa, come fa Brizzi in modo brillante ed efficace, che oggi possiamo leggere notizie, riflessioni, analisi, testimonianze, inchieste.
Chi narrerà con altrettanta efficacia la storia del resto del nostro paese, delle tante realtà locali che lo compongono? Ad esempio di Firenze con i suoi ultimi scandali, con i suoi dubbi personaggi in azione da anni?
E. BRIZZI, La vita quotidiana a Bologna ai tempi di Vasco, Roma-Bari, Laterza, 2008, pp. 182, euro 10.