Vittoria! Abbiamo perso

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Vittoria! Abbiamo perso

17 Aprile 2006

Diciamoci la verità: se ce lo avessero detto il giorno prima che sarebbe finita così, ci avremmo messo dieci firme. La destra in Italia ha un’occasione storica. Può liberarsi della zavorra accumulata nel corso dell’esperienza di governo; dimostrare tenuta; impegnarsi a migliorare la proposta di governo e la classe dirigente per prendersi la rivincita. C’è quasi da sperare che la Cassazione non combini un guaio. I presunti vincitori sono alle corde: non hanno i voti per governare; hanno meno posti delle legittime aspirazioni di capi e capetti; sono scissi sugli aspetti qualificanti di un qualsivoglia programma. La parte più riformista della coalizione è uscita ridimensionata dalle urne, ostaggio di due radicalismi incompatibili: quello “sociale” di Bertinotti e Diliberto; quello “civile” di Bonino e Di Pietro. Al cospetto di tale scenario, la destra fa bene a dirsi disponibile a intese più ampie. Per senso di responsabilità nei confronti del paese e anche per una ragione tattica: meglio avanzare questa proposta tutti insieme piuttosto che lasciarla in gestione a frange “centriste”. Farebbe male, però, a crederci più di tanto. Prodi non può accedere a tale prospettiva: sarebbe la sua fine, E ai suoi avversari interni manca la forza per scaricarlo. Con questo risultato elettorale, l’ipotesi De Benedetti legata a Veltroni e Rutelli è più difficile di prima. E l’intervista di D’Alema al Corriere della Sera diviene l’icona di uno stallo: analiticamente apprezzabile, soprattutto se confrontata al “piattume prodiano”; politicamente sterile perché incapace di tradursi in una proposta che abbia senso politico, Per la destra, meglio ripartire dal voto che le dovrebbe avere chiarito tre aspetti. Il primo è che della leadership di Berlusconi è ancora impossibile fare a meno: è stata la sua forza a riaprire la partita, facendo di Forza Italia il primo partito. Il secondo aspetto è che l’onda dell’antistatalismo degli anni 90 non si è esaurita. Il peso che nella campagna elettorale hanno avuto le tematiche fiscali e il voto espresso dai settori più produttivi del paese risultano eloquenti. Tra i vincitori vanno annoverati i descamisados di Vicenza; tra gli sconfitti i “portatori di Tods”. Infine, sarebbe un errore non accorgersi della rilevanza che hanno assunto le tematiche legate all’identità e alla conservazione delle tradizioni. La spinta dei referendum sui temi bioetici ha continuato a produrre effetti. Basta guardare alle percentuali di Margherita e Udeur per accorgersene. In Italia si tratta di un risultato affatto scontato che promette alla destra – se lo saprà cogliere – ancora più soddisfazioni.

Dietro il caimano, due silhouette

Si deve ammettere, dunque, che il carisma del caimano ha ancora una volta sovrastato ogni velleità interna d’autonomia. Ma se si guarda alla proposta politica dietro di lui si scorgono, sullo sfondo, le silhouette di Tremonti e Pera, che meglio di altri hanno incarnato i due aspetti principali del voto di centrodestra. E, a questo punto, il problema del Che fare? si dipana con naturalezza. E’ lo stesso al cospetto del quale si trovano tutte le forze liberal-conservatrici europee. Di fronte alle sfide interne e internazionali, conseguenza innanzi tutto dell’11 settembre, ci si deve dimostrare in grado di saldare in un’unica proposta di governo modernità economica e identità tradizionale. In Italia bisogna andare oltre gli slogan: con un’opposizione che sappia evidenziare l’incapacità dell’antiberlusconismo di fornire risposte coerenti e con l’elaborazione di nuove proposte di governo. A ciascuno il suo. Ai partiti il compito di creare una classe politica “intermedia” che rappresenti degnamente nelle istanze locali quella base liberale e popolare che esiste nel paese. Ai think tank come Magna Carta il tenere insieme il meglio della classe politica espressa da un’esperienza di governo per nulla fallimentare, per predisporre le idee e gli strumenti che consentano di tornare al più presto alla guida del paese. Ai parlamentari, infine, l’esprimere la consapevolezza della propria forza. Forse la proposta di un gruppo unico è prematura; senz’altro non lo è quella di un inter-gruppo per la difesa dell’occidente e della sua tradizione che esalti ciò che unisce le anime del centrodestra e avvicini un po’ ogni giorno la prospettiva di un solo grande partito, conservatore e liberale.

da Il Foglio