Viva il qualunquismo!
27 Febbraio 2012
E’ difficile far capire alla gente – e, se s’insegna all’Università, ai propri allievi – che senza una qualche dose di populismo, di qualunquismo, persino di demagogia, non c’è democrazia. Nel nostro paese, c’è un pregiudizio aristocratico, diffuso a destra e a sinistra, che ingenera abiti di diffidenza nei confronti del vicino di casa – John Smith, negli Stati Uniti, Mario Rossi, in Italia – che non è arruolato, disciplinato e ‘acculturato in nessuna struttura partitica, sindacale, associativa. Gli individui comuni ‘e di piccolo affare’, secondo questo pregiudizio così radicato nell’anima nazionale, sono, per definizione, eterodiretti, non s’interessano alla politica (che, tra l’altro non hanno gli strumenti conoscitivi per intendere), sono irrimediabilmente segnati dal ‘familismo amorale’ (‘innanzitutto, i miei figli e la mia famiglia : gli altri vadano a farsi benedire!’), versione sociologica del guicciardiniano ‘particulare’.
Sono le avanguardie politiche e intellettuali, stando ai critici implacabili della democrazia, che per fortuna, muovono la storia e quelle avanguardie – che possono indossare le camicie più diverse: rosse, bianche, nere, verdi etc. – , debbono far valere, in base alle leggi non scritte della Natura (gli ‘agrafoi nomoi’), il loro diritto a imporsi come classi dirigenti. E’ uno stile di pensiero, questo, che nutre il sospetto nei confronti del numero, della quantità, delle ‘maggioranze’,potenzialmente tiranniche, pur se ‘silenziose’, e che porta a riguardare: come colpa la richiesta (qualunquistica) di essere lasciati in pace nella propria confortevole tana comunitaria e il rifiuto dell’indottrinamento politico(fascista, azionista, comunista, cattolico e quant’altro); come ideologia e falsa coscienza il richiamo alla saggezza del popolo minuto, che non sa mai quel che vuole e quel che gli conviene; come inganno le promesse (demagogiche) al proprio elettorato di una esistenza più agiata, fatte da politici che non sono andati a scuola né da Platone, né da Marx, né da Giovanni Gentile, né da Auguste Comte, né da Gramsci.
Prescindiamo dal principio, posto a fondamento della democrazia, che sovrano è il ‘demos’ e che, quindi, sul trono vuoto del re dovrebbe porsi il cittadino ‘astratto’ovvero non definito dai suoi ruoli sociali (proletario, imprenditore,insegnante, banchiere, contadino etc.). E riconosciamo pure che nulla garantisce che gli individui, nei quali ci s’imbatte sul marciapiede o all’ufficio postale o allo stadio, siamo portatori di saggezza e di buon senso. Siamo d’accordo: non solo la madre dei grulli è sempre gravida, come si dice in Toscana, ma lo è, assai più di frequente, purtroppo, la madre degli egoisti, dei profittatori, degli uomini quali li descrive Machiavelli nel cap. XVII del Principe:’ Perché delli uomini si può dire questo generalmente: che sieno ingrati, volubili, simulatori e dissimulatori, fuggitori de’ pericoli, cupidi di guadagno; e mentre fai loro bene, sono tutti tua, ófferonti el sangue, la roba, la vita e’ figliuoli, come di sopra dissi, quando il bisogno è discosto; ma, quando ti si appressa, e’ si rivoltano.’ Sennonché, come il buon senso cartesiano, il ‘mal seme d’Adamo’ è, poi, equamente ripartito in tutte le classi, i ceti, i partiti, gli ambiti professionali e lavorativi.
Il PD o la triplice sindacale non ne sono più immuni della Confindustria o della Confesercenti, l’Università non riesce a tener fuori della porta i Mister Hyde meglio di quanto non sappiano fare la magistratura, la guardia di finanza, l’associazione dei pollicoltori, i massoni e i filatelici. Tempo fa, parlando della situazione politica di Genova e dell’Italia con un taxista (sufficiente in grammatica e insufficiente in sintassi) ho sentito un’analisi così intelligente, informata e realistica dei mali del nostro paese—e, in particolare, della città in cui abitiamo entrambi – che mi son chiesto: “di quanti professori universitari, tra quelli che conosco e che incontro nei Dipartimenti o nei Consigli i Facoltà, si potrebbe dire che fan mostra di un’analoga lucidità?”. Sono un populista? Sono un qualunquista? Per me, non sono etichette politiche indecenti e, quindi, non intendo perdere tempo per dimostrare che mi si addicono, sì, ma non del tutto. (Sarò pure un qualunquista e un populista ma, prima ancora, ritengo di essere un liberale ‘ottocentesco’).
I fatti, però, sono divini – si diceva un tempo prima che tutti ripetessero in coro belante l’aforisma di Friedrich Nietzsche che ‘non esistono fatti ma solo interpretazioni’ – ed è innegabile che se si fosse dato ascolto a John Stuart Mill, che avrebbe voluto concedere a me e ai miei colleghi un voto plurimo, avremmo avuto anche noi ,come i nostri vicini dell’Europa centro – orientale, quasi mezzo secolo di collettivismo (i Bobbio, gli Jemolo e tanti altri votarono per il Fronte popolare !!) mentre, proprio perché si è fatto votare anche il tassista—e sulla base del principio spregevolmente quantitativo ‘un uomo, un voto’—abbiamo conosciuto la democrazia (più o meno) liberale e il miracolo economico. Per me, c’è andata bene, per altri , invece, il 1948 è stata una grande occasione perduta, che ci avrebbe consentito di ‘portare a compimento’ il Risorgimento e di ‘non tradire’ la Resistenza. Non discuto i gusti politici di chi non la pensa come me (e come il tassista): gli contesto solo il diritto di prendersela con la democrazia liberale (volgare, demagogica, populistica e qualunquistica) e di considerarla una specie di ‘baldracca’pronta a vendersi a chiunque solo perché, in certi momenti drammatici della storia, vincono persone come me… e come il tassista.
Per Platone, lo so, non c’è rassegnazione ma che dobbiamo farci? Per accontentarlo non possiamo mica passare da un ‘governo di tecnici’ a un ‘governo di filosofi’, affidando, che so io?, la presidenza del consiglio a Giorgio Agamben, gli affari sociali e familiari a Gianni Vattimo, la pubblica istruzione a Margherita Hack, la Giustizia a Luigi Ferrajoli e così via? Se tutte questi prestigiosi docenti entrassero in un partito e il loro partito, in una competizione elettorale libera e aperta, conquistasse la maggioranza dei suffragi, non avrei nulla da eccepire nel vederli alla guida dei ministeri ma, in tal caso, la loro legittimità deriverebbe non dall’investitura ad essi conferita dall’Etica e dalla Scienza a ‘color che sanno’ ma dal voto popolare: del medico e dell’ingegnere, del parroco e del droghiere, della maestra d’asilo e della commessa, del poeta e del contadino, del lattoniere e del tassista. (Mi sia lecito, però, augurarmi che quest’ultimo non perda il suo sano buon senso per ripetuta esposizione alle puntate de L’Infedele!..).