Volkoff come i Blues Brothers, in missione per conto di Dio
01 Aprile 2012
di Luca Negri
È un peccato che in troppi nel nostro paese non abbiano idea di chi fosse Vladimir Volkoff (da non confondere col quasi omonimo calciatore serbo, difensore del Partizan Belgrado). Wikipedia-Italia, tanto per dire, nemmeno gli dedica una paginetta. Lode al merito dell’editore Guida di Napoli, che nel corso degli anni ha pubblicato alcune sue opere; abbastanza recente la riedizione della più giustamente famosa: Il Montaggio. È un’ottima opportunità per immergersi nel mondo di Volkoff, scrittore straordinario che visse una vita quasi da romanzo.
Nacque a Parigi nel 1936, figlio della prima emigrazione russa, quella in fuga dal bolscevismo, e ancora in Francia rese l’anima a Dio a settantatre anni. Fu romanziere per grandi e piccini (sotto lo pseudonimo di “Tenente X”), e le sue storie erano soprattutto di spionaggio. Infatti, conosceva bene il mondo dei servizi segreti, troppo bene per non esserne coinvolto in un modo o nell’altro (come il suo amico Graham Greene, genio letterario e agente segreto al servizio di Sua Maestà). Volkoff fu forse utile agli Stati Uniti, dato che visse oltreoceano per tanti anni; in fondo era anche un ottimo spadaccino. E conosceva bene la sua terra d’origine, la sua cultura, la sua mentalità, nonostante non avesse ancora messo piede sul suolo della terra madre. Fatto sta che era anche esperto di tecniche di disinformazione e scrisse saggi sull’argomento, smascherando i tranelli dell’Urss, Dopo la caduta del Muro, da lui salutata con tutte le buone speranze di un antibolscevico storico, quasi cromosomico, si dedicò allo svelare gli altarini dei servizi e della stampa d’occidente. Diremmo che c’è solo da imparare, sono questioni di indubbia attualità.
A coronamento e fondamento di tutto il resto, Volkoff era un fedele seguace della chiesa ortodossa russa e scrisse parecchio anche riguardo al mondo del sacro, alle verità cristiane. Certamente uno dei suoi capolavori è “Il Re”, provocatoriamente uscito nel 1989, nel pieno dei festeggiamenti per il bicentenario della Rivoluzione Francese. Invece di lodare il demos in rivolta o le élite illuminate e fulminate, si dedicava al concetto di sovranità, da distinguere con cura da quello di mera monarchia. Anche un partito può governare da solo, fare il monarca, anche un tiranno; non era il caso di confondere il sovrano assoluto dell’era moderna con il sacro e fiabesco sovrano tradizionale e medioevale. Volkoff scriveva di re taumaturghi, di simbologia cristiana, di riflesso cristico nella regalità, di suggestioni antico egizie (la sacra famiglia reale Osiride, Iside, Horus). Altro che presidenzialismo alla francese. Come minimo, dalle parti di Dante, del sole Imperatore che brilla e illumina in coppia col Papa.
“Il Montaggio” è invece una spy-story datata primi anni ‘80; senza deludere gli appassionati del genere per l’intrigo e la suspense, si collega alla tradizione del romanzo russo (aleggia lo spirito familiare di Dostoevskij), ed è un’opera profondamente cristiana, anche e sopratutto nella mancanza di lieto fine. Racconta cinquant’anni di vita di Aleksandr Psar, personaggio che ha in comune con Volkoff la generazione anagrafica, l’origine geografica, e la condizione di esule. Per esaudire l’ultima speranza del padre defunto, un militare controrivoluzionario, Psar deve tornare nella madre patria. E’ ora di far pace con l’Urss, in fondo la guerra contro il nazismo è stata vinta dai russi più che dai sovietici. Così il giovane si avvicina ai comunisti, ricevuta la promessa di poter prima o poi vedere la terra degli avi, accette l’arruolamento nel Kgb. Non si deve occupare si semplice spionaggio, nemmeno di controspionaggio.
Sarà un “agente d’influenza”, ovvero dovrà entrare nel mondo dell’editoria, diventare un grande agente letterario e mettere sul mercato libri utili. Non si tratta di pubblicare apologie del marxismo-leninismo, non serve predicare ai convertiti. Piuttosto occorre incentivare il nichilismo nella società intera, infiacchire la tempra morale dei francesi per poi sottometterli facilmente. Dunque, dagli anni ’50 Psar riesce a mandare in libreria autori d’avanguardia che demoliscono la sintassi e l’ortografia: a Mosca sono convinti che la lingua forgi il popolo, votarla al caos sarà fruttuoso. Ma il vero successo di vendite e grazie del Kgb saranno i “libri bianchi”, snelli pamphlet incisivi sui settori strategici: quello sulla donna ha contribuito ad aumentare gli aborti, a denatalizzare il nemico; quello sull’istruzione ha ispirato il ’68, e non è poco; quello sulla Chiesa ha fatto pressione per l’appiattimento del cattolicesimo sul piano sociale; quello sulle dittature ha concesso lo stesso numero di pagine all’impero concentrazionario oltrecortina e all’effimera esperienza dei colonnelli greci.
Anche questi non sono dettagli. L’ultima missione, quella da premiare con l’agognato ritorno in Russia, coinvolge Psar in qualcosa di ancor più grosso. Si tratta di gestire un finto scrittore dissidente, usato dai sovietici per screditare Solzenicyn ed altri intellettuali esuli. Un’operazione che mette in questione la verità come mai prima, che in un modo o nell’altro darà la svolta definitiva alla vita del protagonista.
Al lettore rimarrà il dubbio: esistevano veramente gli “agenti di influenza”? Esistono ancora? Pagati da chi? Ai fini della narrazione basta la verosimiglianza. Il complottista potrebbe concludere che lo stesso Volkoff scriveva probabilmente per conto di qualcuno. E il mistero, a questo punto, si infittisce. Noi crediamo che fosse, come i Blues Brothers, in missione per conto di Dio.