Waziristan, la lunga caccia della CIA a Osama Bin Laden
16 Settembre 2009
di redazione
Art Keller, un’ex-agente della CIA, biondo e con gli occhi azzuri, è seduto dentro un edificio decrepito, nel cuore del territorio di al-Qaeda, e fissa lo schermo del suo computer. I suoi “controllori” pakistani non gli permettono di avventurarsi nel deserto di Waziristan per trovare ed ammazzare l’uomo più ricercato al mondo.
L’agente è malato, esausto, e soffre per un’intossicazione alimentare. Intanto, negli Stati Uniti, suo padre sta morendo di cancro. L’impianto idraulico della sua tana è vecchio, il caldo è intenso – il generatore si è di nuovo rotto. Analizza scrupolosamente le comunicazioni che ha a disposizione e cerca qualsiasi piccola informazione – una chiamata intercettata, una foto aerea – che potrebbe finalmente concludere la caccia a bin Laden. Gli Stati Uniti si servono di personale esterno per questa ricerca infruttuosa, basandosi su una rete di spie pashtun gestita dai servizi di informazione pakistani.
Mister Keller è uno dei circa cinquanta-cento agenti delle operazioni speciali in forze alla CIA, la cui missione negli ultimi otto anni è stata quella di trovare ed uccidere bin Laden e gli altri leader di primo piano di al-Qaeda, nella ostile e infernale regione di frontiera tra Pakistan e Afghanistan, dove si suppone che siano nascosti i vertici del gruppo terrorista. Keller ha 39 anni, si è offerto spontaneamente di far parte della squadra che dà la caccia a bin Laden ed è stato inviato come capo provvisorio di una delle basi della CIA nel cuore del Waziristan, il territorio in mano ad al-Qaeda e ai Talebani. Dopo l’esperienza che ha fatto, oggi si chiede se riusciranno mai a trovare il capo di al-Qaeda.
Keller non era una scelta ovvia per questo genere di lavoro – non parlava arabo e non era un esperto di al-Qaeda né del Pakistan. Ma nel 2006, quando gran parte delle risorse umane era stato mandato in Iraq, la CIA moriva dalla voglia di avere agenti che si aggiungessero alla caccia a bin Laden. Oggi tutto sta cambiando. L’agenzia ha richiamato gli agenti in pensione della CIA – un gruppo chiamato “The Cadre” – e tra loro ci sono molti sono veterani che hanno lavorato con i mujahidin afgani durante l’occupazione sovietica degli anni Ottanta.
Uno di loro – un uomo con i capelli grigi di 65 anni che parla pashtu – ha sostituito Keller quando ha lasciato Shawshank (il soprannome che è stato affibbiato alla base in Waziristan, perché lì la vita somiglia a quella di una prigione, come il luogo che appare nel film The Shawshank Redemption). “Alcuni di questi ragazzi stanno dando la caccia a bin Laden da anni,” dice Keller. Il suo sostituto, che a sentire Keller si trova ancora in Pakistan, ha trascorso otto mesi all’anno, ogni anno dopo gli attacchi dell’11 Settembre, lavorando in questi centri di sicurezza gestiti dalla CIA, che si occupano di trovare gli esponenti di punta della leadership di al-Qaeda.
“Una della cose che fa l’agenzia è di richiamare in azione i veterani,” aggiunge Keller. Sono uomini che, malgrado l’età, sono “pronti a vivere per mesi in condizioni che, per la maggior parte della gente, verrebbero considerate alle stregua di una prigione”. Keller è andato in pensione e adesso fa lo scrittore in Nuovo Messico: "il tasso di divorzio tra gli uomini dell’Agenzia è molto alto, anzi è andato alle stelle – spiega – eppure fa parte di quella allure che continua ad attirarli verso un lavoro del genere. Molte volte si tratta solo di starsene lì seduti a leggere della roba, ma sai anche di essere nella regione giusta; è tutto uno show – hai l’età di un pensionato ma vorresti davvero iscriverti al gruppo di bocciofila?"
La caccia a bin Laden è gestita soprattutto dall’ISI, i servizi segreti pakistani, un’organizzazione verso la quale molti ufficiali della CIA nutrono una profonda sfiducia a causa dei suoi storici legami con i pashtun del Waziristan. Per Keller il nervo della caccia ai capi di al Qaeda è a Islamabad, anche se le operazioni sul terreno vengono gestite da decrepite basi come quella di Shawshank. Nel suo caso, il centro delle operazioni era la stanza delle telecomunicazioni, dove ha lavorato insieme agli ufficiali delle altre divisioni che fanno parte delle diverse agenzie d’intelligence statunitensi. Era in quella base che analizzavano con attenzione le informazioni raccolte attraverso intercettazioni elettroniche, foto aeree scattate da droni telecomandati, e le informazioni ottenute dalle spie pashtun. Ma era raro che i pakistani permettessero agli agenti della CIA di uscire dal compound.
Una delle ragioni è che gli agenti biondi come Keller diventerebbero immediatamente dei bersagli per gli assassini. Un’altra ragione è che ai pakistani piace avere il controllo della caccia a bin Laden. Tutte le operazioni di spionaggio vengono portate avanti dai pashtun della zona sotto lo sguardo vigile delle autorità pakistane. “Il nostro ruolo nella caccia si riduce a stare davanti al computer, chiusi dentro la base,” dice Keller. Quando voleva indagare su un indizio, contattava la procura pashtun del luogo e gli chiedeva di inviare qualcuno nella regione ‘attenzionata’ per racimolare informazioni.
E’ un lavoro pericoloso. Nel 2005 la CIA ha assunto un mullah che si recò in Waziristan per poi riferire sugli arabi che vivevano nella regione – un segno, quest’ultimo, della possibile vicinanza di bin Laden, che ha origini saudite. Pochi giorni dopo il mullah venne ritrovato ai bordi di una strada, decapitato, e dentro la camicia aveva un messaggio con su scritto “ecco come finiscono le spie”.
Quando veniva identificato qualche “dirigente” di di al-Qaeda – è ancora Keller a parlare – ci volevano settimane, per non dire mesi, prima che venisse giustificata una delle incursioni aeree con i droni Predator americani e, nonostante l’ordine e i permessi partissero dalla sede centrale della CIA a Langley, in Virginia, dovevano comunque essere i pakistani ad approvarlo. “Dopo l’11 settembre, i pakistani sono stati consultati nel 99 per cento dei casi in cui stavamo preparando incursioni del genere e dovevano anche approvarle”.
Da parecchi anni non ci sono neppure più indizi credibili su Bin Laden. Gli agenti della CIA lo hanno ribattezzato “Elvis” per tutte le volte in cui è stato visto anche se si trattava sempre di soffiate false e fantasiose. La CIA ha compiuto con successo una serie di omicidi mirati dello ‘stato maggiore’ di al-Qaeda, ma bin Laden e il suo braccio destro Zawahiri sono casi diversi.
Keller è convinto che bin Laden si sposti di paese in paese nel Waziristan. Comunica forse una volta al mese, usando un corriere. Non usa mai il telefono. Arriva in paese con un piccolo gruppo di guardie del corpo, si ferma per parlare col leader della tribù locale, paga fruttuose bustarelle. Così diventa l’ospite di riguardo del paese e, secondo le usanze pashtun, questo vuol dire vuol dire che deve essere protetto. L’ostacolo principale nella caccia a bin Laden, secondo Keller, è che se anche qualcuno fosse pronto a tradirlo – guadagnandosi i 25 milioni di dollari della taglia – alla fine non si trova mai qualcuno a cui potersi rivolgere. La polizia locale spesso sa dove si trova bin Laden. “Se un poliziotto rivelasse la posizione di bin Laden, però, è probabile che verrebbe ucciso”.
“La gente che è in grado di passarci informazioni non può comunicarle a nessuno”. I cacciatori della CIA comunque sono ancora su di morale perché molti uomini di punta di al-Qaeda sono stati trovati e ammazzati. Questo vuol dire che anche bin Laden verrà preso prima o poi? Mister Keller fa un profondo respiro e conclude “Non lo so”.
Tratto da Time On line
Traduzione di Ashleigh Rose