
Perché all’Italia servono più laureati

28 Aprile 2025
Si sente ripetere spesso, con disincanto e un certo compiaciuto cinismo, che la laurea non serva più a nulla: che non garantisca un’occupazione stabile, che sia ridotta a un complemento d’arredo, utile solo a compiacere le aspettative familiari. Ma i dati smentiscono questa retorica diffusa. L’istruzione continua a rappresentare uno dei principali vettori di mobilità sociale nel nostro Paese.
Si consideri, a tal proposito, la questione dell’occupazione femminile, che costituisce uno dei nodi strutturali del nostro sistema economico e sociale. Secondo i dati Eurostat, in Italia lavora il 57,4% delle donne tra i 20 e i 64 anni, un valore al di sotto della media europea (70,8%). Tuttavia, tra le laureate questa percentuale sale al 79,3%, appena cinque punti sotto il dato europeo. Al contrario, tra le donne con la sola licenza media, il tasso occupazionale precipita al 36,6%, undici punti al di sotto della media continentale. Il messaggio è evidente: la vera diseguaglianza è di natura educativa, e solo attraverso un investimento sistematico e lungimirante nella formazione sarà possibile colmare il “gender gap” e ridurre i divari territoriali.
Tale consapevolezza acquista ancora più valore se applicata al Mezzogiorno, dove, negli ultimi cinque anni, si è registrata la crescita occupazionale più significativa del Paese: +4,2%, secondo i dati INAPP. Solo nel 2024, l’incremento è stato di 142mila nuovi occupati, in prevalenza con contratti stabili: 50mila in più rispetto al Centro, 25mila più del Settentrione. Si tratta di segnali concreti di un dinamismo che, pur in un quadro di persistente fragilità, suggerisce un’inversione di tendenza.
Naturalmente, le criticità non sono affatto superate. Campania, Calabria e Sicilia si collocano ancora tra le ultime regioni d’Europa per tasso di occupazione nella fascia 15-64 anni, con cifre che oscillano tra il 44,8% e il 46,8%. In alcune aree del Sud, lavora meno di una donna su tre. Eppure, anche qui i segnali positivi non mancano: in Sicilia, l’occupazione è cresciuta di quasi due punti, in Campania di uno, con ritmi superiori alla media europea.
A favorire questa evoluzione hanno contribuito politiche pubbliche come la Zona Economica Speciale unica per il Sud, divenuta catalizzatore di investimenti e occupazione. Alla ZES si affiancano gli incentivi all’assunzione per giovani e donne, finanziati attraverso i fondi di coesione europei. Solo nel secondo trimestre del 2024, il Mezzogiorno dovrebbe registrare oltre 40mila nuove assunzioni nel settore turistico.
Ma la vera sfida non è più solo quella di creare occupazione: è capire quali competenze siano davvero necessarie per sostenere una crescita duratura. Formare per il futuro significa dotare il Sud degli strumenti cognitivi, tecnici e manageriali per affrontare la doppia transizione digitale ed ecologica. Senza quadri adeguati — nelle imprese come nelle amministrazioni locali — la decarbonizzazione rischia di restare un’astrazione. Accordi volontari tra imprese e comunità locali, fondati su meccanismi di compensazione e finalizzati alla formazione di qualità, potrebbero costituire un modello virtuoso per legare lo sviluppo alla responsabilità territoriale.
Un secondo ambito strategico è quello del lavoro di cura. In un Mezzogiorno sempre più anziano, l’assistenza domiciliare deve diventare un settore professionalizzato, digitalizzato e incentivato. La “silver economy” rappresenta una concreta opportunità di inclusione, anche per le donne migranti. Non meno importante è il sostegno alla conciliazione tra maternità e lavoro.
In tal senso, il Piano per la famiglia promosso dalla ministra Roccella va nella giusta direzione, soprattutto nell’accompagnare il rientro professionale delle giovani madri. Anche il sistema formativo è chiamato a fare la sua parte: master e percorsi post-laurea sui temi della sanità territoriale, dell’economia del benessere e dei servizi sociali sono oggi più che mai necessari.
La formazione “on the job”, costruita in partenariato con le imprese, può infine contribuire a colmare il divario di genere nelle discipline STEM, dove le donne si laureano prima e con voti migliori, ma continuano a essere penalizzate nei salari e nella stabilità contrattuale. Parafrasando Goethe: trattare il Sud per ciò che è, significa rassegnarsi a lasciarlo indietro. Trattarlo per ciò che può diventare, significa investirlo di un protagonismo reale. Ma perché questa speranza si traduca in opportunità, servono visione, coerenza e continuità. Solo così il capitale umano del Mezzogiorno potrà trasformarsi nella leva decisiva di una nuova stagione di crescita nazionale.