
Gli ottantenni superano i bambini, Istat fotografa l’Italia

24 Maggio 2025
L’Italia fa sempre meno figli. Il Rapporto Annuale 2025 dell’Istat è la conferma concreta dell’andamento demografico negativo del nostro Paese. Il 21 maggio, l’istituto ha pubblicato gli aggiornamenti ai primi mesi del ‘25, mentre il Presidente Francesco Maria Chielli in conferenza stampa a Montecitorio presentava i dati più incisivi del rapporto.
La pubblicazione annuale dell’Istat analizza l’evoluzione dell’andamento economico, socio-demografico e dell’innovazione tecnologica e ambientale dell’Italia, traendo previsioni per il medio e lungo periodo. Essa rappresenta, dunque, di anno in anno, un resoconto dei punti di forza e debolezza del nostro paese, e ne delinea le sfide per il presente e il futuro.
Da parecchi anni, ormai, si sente parlare del pesante inverno demografico italiano e delle conseguenze che esso ha sul sistema produttivo. Dai dati dell’ultimo anno emerge un record negativo di nascite: 370.000, ovvero 200.000 in meno rispetto al 2008. A questo si accompagna il minimo storico del tasso di fecondità per donna, con una media di 1,18 figli.
Come osserva Giancarlo Blangiardo, Direttore scientifico dell’osservatorio sulla demografica della Fondazione Magna Carta (e già presidente dell’Istat), l’Italia è sempre più un “Paese di figli unici”, una condizione che ha ricadute profonde sul tessuto sociale e sull’equilibrio del mercato del lavoro.
Le cause del crollo demografico vanno ricercate nella diminuzione delle donne fertili, nel cambiamento culturale degli stili di vita e nella trasformazione dei nuclei familiari stabili. Riguardo questi ultimi, si è registrato un calo delle coppie con almeno un figlio (28,2%) e un aumento dei nuclei monocomposti, ovvero con un solo genitore, o delle famiglie formate da coppie non coniugate.
A fronte del calo delle nascite, cresce in modo costante la quota di popolazione anziana, sostenuta da un generale aumento dell’aspettativa di vita. Per la prima volta, infatti, il numero degli ultraottantenni supera il numero dei minori di 10 anni: 4,6 milioni e 4,3 milioni, una differenza seppur piccola ma significativa. E le previsioni fino al 2050 non sembrano migliorare, con un numero di minori di quattordici anni stimato solo all’11% della popolazione, mentre la quota di anziani medi nei prossimi quindici anni sembra destinata a superare i 6 milioni.
Il Rapporto dimostra che la fascia d’età attiva (18-65 anni) è pari al 63,4% della popolazione, già in calo rispetto all’anno precedente, con una proiezione al 2050 che la vede scendere al 54,4%. Questo significherebbe meno forza lavoro a sostegno del sistema contributivo e produttivo del Paese.
La generazione del baby boom (nati tra gli anni ‘60 e ’70) nel giro di dieci o quindici anni andrà in pensione e ciò comporterà uno squilibrio nel mercato del lavoro, perché non bilanciato dal numero di giovani, troppo pochi, in entrata. Il mancato ricambio generazionale aprirà vuoti occupazionali, in particolare nei settori ad alta competenza.
Ad oggi l’occupazione giovanile italiana è la più bassa in Europa dal 2019 e i dati contano 1/3 dei giovani impiegati in lavori precari o di part-time involontario a cui si accompagna anche la fuga dei cervelli. Questo fenomeno non è di per sé negativo: significa spesso cogliere opportunità, crescere, espandere orizzonti; diventa però un problema sistemico quando chi parte non trova motivi per tornare, e il Paese non riesce ad attrarre — o trattenere — talenti di pari livello in entrata.
A risentirne sarà soprattutto il sistema pensionistico: l’aumento di anziani implica una maggiore spesa sanitaria, più assistenza a lungo termine e con costi sociali in aumento che potrebbero portare a maggiore pressione fiscale sui lavoratori attivi o alla riduzione delle prestazioni previdenziali. Il welfare, quindi, attraversa una vera e propria crisi.
Il Rapporto dell’Istat non è semplicemente un bollettino statistico, ma deve essere un monito per l’azione del decisore politico. Una natalità al minimo, una popolazione sempre più anziana e un esercito di giovani in fuga o bloccati nella precarietà mettono a rischio la sostenibilità non solo del sistema pensionistico, ma dell’intero modello sociale ed economico del Paese.
Un’azione concreta in grado di combinare innovazione digitale e aumento della produttività, politiche pubbliche come quelle messe in campo dal ministero della famiglia e strategie di welfare aziendale, può mitigare gli effetti dell’inverno demografico, che attanaglia anche altri paesi europei. Ma serve un dialogo costante tra istituzioni e aziende, con l’impegno comune di investire in politiche per la natalità, per il lavoro e per la formazione delle competenze dei giovani.