A otto anni dall’11 settembre cosa resta di al-Qaeda?
12 Settembre 2009
di redazione
Otto anni fa al-Qaeda uccideva tremila persone a New York. A distanza di otto anni, che cosa resta di questo cartello terroristico? Per capire quale sia la sua condizione attuale, il suo stato di forza ed efficienza, occorre esaminare l’organizzazione terroristica fondata da Osama bin Laden sotto diversi punti di vista.
Partiamo dal consenso presso le comunità musulmane internazionali. Secondo un’attenta ricerca della Gallup, condotta in questi ultimi sette anni presso 35 paesi islamici intervistando decine di migliaia di persone, al-Qaeda ha oggi clamorosamente perso il seguito che aveva nell’opinione pubblica araba e islamica all’indomani dell’11 settembre 2001, con un totale del 90% di intervistati che ne condannano i mezzi violenti, tanto che Fawaz A. Gerges, autore di The Far Enemy: Why Jihad Went Global, parla di «grave crisi d’autorevolezza e di legittimazione» per l’organizzazione di bin Laden e di Ayman al-Zawahiri.
I dati sembrano confermarlo: in Arabia Saudita meno del 10% delle risposte parteggiano per al-Qaeda, mentre l’88% approva la nuova politica del governo di lotta al terrorismo. In Pakistan, nonostante l’insorgenza talebana, la popolazione non vede di buon occhio i militanti islamisti e i seguaci di bin Laden, e se ancora nel 2007 godevano di un 33% di consensi, nel gennaio 2008 la percentuale è scesa al 18%. La conferma viene anche da un altro studio indipendente di PGAP che rivela come, da un 34% di pakistani contrari ad al-Qaeda nel 2008, si sia passati nel 2009 al 61%, col 69% della popolazione preoccupata per gli attacchi degli estremisti islamici. In Giordania lo spostamento di consensi è stato ancora maggiore: nel 2005 gli attacchi suicidi erano giustificati dal 57% degli intervistati, mentre oggi “solo” dal 29%. Stesso trend in Indonesia (41% di contrari ad al-Qaeda nel 2004, 74% nel 2009), in Bangladesh (81% di contrari), e in Iran (80%). Una ricerca dell’ABC News/BBC/NHK in Iraq ha dimostrato che il 98% della popolazione (sciti e sunniti) ritiene inaccettabile la politica terroristica di al-Qaeda e la presenza di suoi militanti stranieri in territorio iracheno (e infatti il surge del generale Petraeus si è avvalso degli stessi iracheni passati a combattere gli stranieri di al-Qaeda).
In Algeria nel 2006 al-Qaeda aveva dato la propria benedizione all’Aqmi, gruppo di militanti islamisti discendenti dal Gia e poi dal Gspc, in lotta pluridecennale col governo. Nel 2007 le attività della cosiddetta succursale algerina di al-Qaeda hanno registrato un incremento d’attentati e rapimenti, ma analizzandone l’organigramma si scopre come in realtà sotto il nome di al-Qaeda ci siano esattamente gli stessi elementi del vecchio Gspc, e che i suoi obiettivi non abbiano niente a che fare con l’internazionalizzazione del terrore di al-Qaeda, restando invece limitati al contesto algerino. Nel frattempo le iniziative di cooperazione militare nell’area sponsorizzate da Washington (come la Trans-Sahara Counter-Terrorism Initiative cui partecipano dieci stati, tra cui Mali, Niger, Mauritania, Ciad, Tunisia) hanno contenuto l’attività dell’Aqmi entro i confini algerini, prevenendo il rischio di un allargamento del terrorismo in Nord Africa e tanto meno in Europa. Occorre, pertanto, sempre considerare se l’uso del nome al-Qaeda di cui si fregiano i vari gruppi terroristici abbia effettivamente una valenza operativa, o venga invece utilizzato solo come brand propagandistico, o di vaga affinità ideologica.
La causa principale del crollo di consensi degli epigoni di bin Laden è la violenza da essi perpetrata a danno specialmente di altri musulmani. I santuari di al-Qaeda nel mondo sono via via scomparsi per la caccia senza tregua di cui è oggetto, e i suoi gruppi sono marginalizzati rispetto a solo pochi anni fa. Dove appare ancora forte è certamente nelle aree tribali fra Pakistan e Afghanistan grazie all’appoggio dei talebani, ma altrove il suo potere sembra in definitivo declino. Come in Indonesia, dove il gruppo al-qaediano Jemaah Islamiyya è stato annientato con la cattura o uccisione dei suoi capi, ma pure in tutto l’hinterland arabico: dopo aver promesso paradisi in terra e aver invece portato morte e distruzione, al-Qaeda si è trovata dal 2006 a oggi quasi senza più consensi fra le masse.
A ciò ovviamente ha contribuito enormemente l’arresto e l’uccisione dei suoi militanti, specie nel paese che storicamente ne ha prodotto la maggioranza, l’Arabia Saudita, il cui governo dal 2003 ne ha distrutto le basi. La guerra militare, d’intelligence e di polizia contro al-Qaeda, quindi, va di pari passo con la sua perdita di consensi fra l’opinione pubblica musulmana, che non gli concede più il sostegno di un tempo anche dal punto di vista logistico. All’indomani dell’11/9 Ayman al-Zawahiri pubblicò il suo famoso libro Knights Under the Prophet’s Banner in cui annunciava l’intenzione di conquistare i cuori e le menti di tutti i musulmani: evidentemente a essere sbagliata era la sua stessa lezione.
In Europa, al-Qaeda ha avuto molto seguito fra giovani generazioni di musulmani vulnerabili all’indottrinamento religioso estremista. Ci sono tuttavia anche qui segnali di un declino, come spiegato nella conferenza della New York University Law School tenutasi recentemente a Firenze. Sia Peter Clarke (ex capo dell’Antiterrorismo inglese) sia Armando Spataro (procuratore capo e coordinatore dell’Antiterrorismo italiano) presentano rapporti di dissociazione e rifiuto dei mezzi terroristici da parte degli immigrati e dei musulmani europei.
Sotto il profilo tattico, se l’articolazione a piovra di al-Qaeda rende sfuggenti i suoi affiliati, questo aspetto si rivela sempre più spesso come un punto debole. Quella di al-Qaeda è un’organizzazione piramidale solo nella sua componente verticistica, mentre il corpo è costituito da un insieme multiforme di cellule, gruppi e sottogruppi affiliati, le cui diramazioni si perdono in un vasto ventaglio di paesi. Ma la cupola di comando rintanata fra i monti del Kashmir non può dirigere semplicemente tramite qualche telefono satellitare un’organizzazione internazionale che si propone di combattere l’Occidente e instaurare un califfato islamico transnazionale retto dalla sharia. E così le piccole cellule sono lasciate a sé stesse, senza che bin Laden, al-Zawahiri e compagni possano esercitare effettivamente il proprio comando: ciò rende le cellule vulnerabili e ne decreta il fallimento.
Chi inoltre individua la forza di al-Qaeda nella solidità dell’alleanza afghano-pakistana con narcotrafficanti, talebani e tribù pashtun, dimentica come questo sia solo un matrimonio d’interesse, con bande dai differenti obiettivi, di differente nazionalità e lingua, impegnate provvisoriamente in medesime imprese ma pronte a rivoltarsi le une contro le altre a seconda del momento. E dimentica che nella complessa situazione dell’AfPak, al-Qaeda è uno degli elementi dell’equazione strategica e non certo l’unico.
Circa le attività di polizia, in questi anni la maggior parte dei luogotenenti di bin Laden è stata catturata o uccisa; a essi sono succeduti elementi inesperti e inaffidabili, mentre diventa sempre più difficile reclutarne di validi. Secondo uno studio di Global Brief, al-Qaeda nel 2001 contava dai tre a cinquemila membri, aveva una struttura finanziaria stabile, un intero paese come base operativa, l’Afghanistan; oggi, nel 2009, il suo esercito è stato decimato dalla guerra, dagli arresti, dall’inseguimento implacabile cui è stato sottoposto in ogni parte del mondo specie dalle autorità statunitensi. Rohan Gunaratna dell’International Centre for Political Violence and Terrorism Research, legato alla Nanyang Technological University di Singapore, ne stima un organico non superiore alle trecento unità, cifra considerata ancora minore dai rapporti (meno affidabili) dei Servizi segreti pakistani. Quello che è certo è che adesso al-Qaeda opera in un ambiente ostile, con grandi difficoltà finanziarie rispetto al passato, tanto da costringere alcuni suoi leader in Afghanistan ad apparire in video chiedendo alla popolazione offerte economiche.
Attualmente vengono computati solo sei gruppi concretamente legati ad al-Qaida, di cui però solo tre hanno recentemente dimostrato capacità operative:
1 – Tanzim Qaedat bi-Bilad al-Maghrab al-Islami (The Al-Qaeda OrganiZation in the Islamic Maghreb or North Africa): pur braccato dalle Forze algerine, questo gruppo è specializzato in sequestri di persona ed è quello col maggior potenziale militare; mantiene però ambizioni localistiche.
2 – Tanzim Qaedat fi Bilad al-Rafidayn (Al-Qaeda Organization in the Land of the Two Rivers, Iraq): colpito dalle Forze speciali USA è disastrato e ridotto pressoché al silenzio, come ammesso già nel 2005 anche dal suo potente leader Abū Mus’ab al-Zarqāwī (poi ucciso nel 2006 dalle stesse Forze americane) in una lettera diretta a Osama bin Laden e intercettata.
3 – Tanzim al-Qaeda al-Jihad fi al-Khorasan (The Al-Qaeda Organization in Afghanistan): benché protetto e ben nascosto fra i talebani, il vertice alqaediano non pare passarsela benissimo, specie per le difficoltà finanziarie e per la ristrettezza di mobilità cui lo costringono le incursioni aeree americane.
4 – Tanzim Qaedat fi al-Jazeeratul Arab (The Al-Qaeda Organization in the Arabian Peninsula): i metodi duri dei sauditi hanno annientato il ramo principale dell’organizzazione, i cui superstiti si sono ora rifugiati in Yemen tentando di ricostituirsi. Il luogo può essere ideale per le necessità di al-Qaeda, con governo debole e strutture tribali frammentate, ma per ora, a parte la diffusione di qualche video, non pare ancora aver intrapreso concrete attività.
5 – Tanzim al-Qaeda al-Jihad fi Ard al-Kinnanah (The Al-Qaeda Organization in the Land of Kinanah – Egypt and Palestine): a parte la rivendicazione dell’attentato a Sharm el-Sheik, questa cellula sembra scomparsa da anni, resistendo solo nominalmente.
6 – Tanzim Qaedat al-Jihad (Al-Qaeda Organization in the Malay Archipelago – Brunei, Malaysia, Indonesia and the Philippines): si tratta dei sopravvissuti di Jammah Islamia, e non danno segno d’essere in grado di compiere azioni importanti.
Poi c’è l’universo di gruppi affiliati che si associano al marchio al-Qaeda pur non dipendendone per nulla, e qui la lista diventa molto più nebulosa e complessa. Uno dei più forti e pericolosi è senza dubbio Lashkar-e-Toiba (LeT), che ha come obiettivo la liberazione delle regioni del Jammu e del Kashmir per crearvi stati islamici indipendenti. Il suo nome è legato ai famigerati attentati a Mumbai nel 2008.
Al di là della retorica, ai capi di al-Qaeda non pare restare molto di più dei video-proclami, un po’ poco per chi si propone di conquistare il mondo con il jihad. Inoltre, nonostante otto anni di minacce quotidiane e annunci catastrofici, dopo l’11/9 nessuno ha più colpito gli USA grazie all’ammirevole attività investigativa perseguita dall’amministrazione Bush, poi adottata anche dai governi europei dopo le bombe londinesi e spagnole.
Che il declino di al-Qaeda non deve in alcun modo implicare un abbassamento della guardia è ovvio. L’organizzazione è sempre in grado di colpire e fare molto male ai suoi nemici. La storia comunque insegna che è tipico di tutti i gruppi terroristici arrivare a un capolinea nelle proprie attività – è capitato a tutti, dalle Brigate Rosse all’Ira al Fronte per la liberazione del Quebec – proprio a causa dell’assenza di una vera adesione popolare agli obiettivi prospettati e ai mezzi impiegati per raggiungerli. Questo è tanto più vero per al-Qaeda, che nel policromo panorama islamico rappresenta solo una singola e assai contrastata interpretazione salafita dell’islam.