Castellani (Luiss): “Partiti poco radicati e vince l’astensione”
20 Febbraio 2023
“Se l’Italia non è riuscita a raggiungere un buon livello di sviluppo del sistema politico, come certifica un regime di alternanza caratterizzato da forte instabilità e coalizioni con partiti deboli, il motivo risiede prevalentemente nelle debolezze generali con le quali è nato il sistema statuale italiano. Grandi differenze territoriali, unificazione tardiva, scarsa legittimazione di istituzioni percepite come fragili hanno contribuito a questo scenario”. A dirlo è Lorenzo Castellani, docente di Storia delle istituzioni politiche della Luiss e membro del Comitato scientifico della Fondazione Magna Carta, interpellato dall’Occidentale in merito alla presentazione del nuovo volume di Piero Craveri “Dalla democrazia ‘incompiuta’ alla ‘post democrazia’”, in programma il 21 febbraio a Roma.
Castellani, tra i relatori dell’iniziativa promossa dalla Fondazione Magna Carta, spiega che “il sistema Stato in Italia non è riuscito, se non in brevissimi momenti, a raggiungere livelli di riconoscimento tali da creare una stabilità politica fondata sul rispetto delle istituzioni e sul riconoscimento dell’avversario politico”. Una criticità che ha minato alle fondamenta le possibilità di riforme strutturali interne al sistema. “In termini generali – spiega Castellani – istituzioni scarsamente riconosciute dai cittadini hanno generato un humus favorevole a fenomeni che hanno fortemente caratterizzato la nostra storia recente, dalla mafia al terrorismo, ma penso anche a una pubblica amministrazione inefficiente, per finire con l’assunzione, in alcuni frangenti, di un ruolo politico da parte della magistratura. Tutto questo non ha consentito lo sviluppo di un reciproco riconoscimento tra le forze politiche necessario a portare a termine riforme essenziali per lo stato”.
Nel suo libro, Craveri riflette anche sulla post-democrazia, un concetto che è la somma di più elementi e che, anche alla luce della crisi del sistema politico italiano, ma non solo, ha avuto un’ampia diffusione. Ma quali sono i sintomi della “postdemocrazia”? “La postdemocrazia – sottolinea Castellani – può essere considerata una sorta di degenerazione della democrazia liberale, fondata sul rapporto equilibrato tra parlamento, poteri intermedi e corpi giudiziari. In Italia, la statualità ‘debole’ ha però generato tre ordini di problemi”. “Il primo – spiega – è il vincolo esterno. L’Italia, per incapacità di risolvere i propri problemi, ha progressivamente perso gran parte della propria sovranità delegando all’Unione europea le decisioni più importanti soprattutto in materia di politica economica e monetaria. Uno scenario che ovviamente rende l’idea di grandi riforme sempre più lontana per la classe politica”.
“Il secondo sintomo della degenerazione post democratica – continua – è il frequente ricorso all’esperienza dei governi tecnici, un aspetto che mostra la crisi della politica in maniera lampante. In Italia la politica sembra avere bisogno continuamente di una supplenza di carattere tecnico e presuntamente neutrale rispetto ai partiti per onorare il vincolo esterno e rispettare gli impegni con l’Ue”. “Infine – evidenzia Castellani – il terzo sintomo, cioè le diverse forme di antipolitica e di disconoscimento del sistema. Penso non solo al “vaffa” di Beppe Grillo ma anche a posizioni euroscettiche che hanno attraversato la destra in questi anni. Elementi di disordine che si mescolano a leadership sempre più disintermediate e personalizzate, oltre i partiti e oltre i corpi intermedi, e che spostano le decisioni dai parlamento verso i governi che ormai decidono a colpi di fiducia”.
Il ruolo dei partiti, in questa fase post democratica, come si caratterizza quindi? Secondo Castellani, oggi i partiti appaiono “poco radicati e di conseguenza non riescono a coinvolgere gran parte della popolazione. Lo dimostra anche il forte astensionismo delle recenti tornate elettorali. Negli ultimi 15 anni, le elezioni si sono sempre presentate come una sorta di referendum finale su un leader piuttosto che un altro”. Un ruolo decisamente ridimensionato, quindi, quello dei partiti ma non per questo meno legato alle ideologie che, secondo Castellani, “hanno ancora un peso importante, su molte materie le differenze tra i due schieramenti sono marcate, dall’economia all’immigrazione, ma anche su questioni più etiche e valoriali. Mi sembra invece affievolito l’elemento delle rivendicazioni territoriali, parzialmente ‘spento’ dai vincoli Ue, sia quelli positivi, come il Pnrr, che quelli più critici, come le scelte in materia di politica monetaria”.
In questa evoluzione tra democrazia incompiuta e postdemocrazia che, nel libro di Craveri, passa attraverso le storie di quattro fondamentali protagonisti della nostra storia (Moro, La Malfa, Berlinguer e Craxi) a che punto siamo oggi? Secondo Castellani, “fare politica oggi è molto diverso rispetto a quanto avveniva nella Prima Repubblica. Queste quattro personalità erano tutte radicate all’interno di culture politiche molto chiare e avevano compiuto un percorso di formazione che oggi non sarebbe più possibile”. “Nella Prima Repubblica, infatti, i partiti erano l’unica istituzione funzionante del sistema politico italiano, proprio perché le altre realtà statuali erano molto deboli. Oggi le potenziali elite non scelgono la politica, vista come un terreno poco attrattivo e qualificato, ma altri percorsi contribuendo al far venire meno il ruolo di filtro delle classi dirigenti esercitato proprio dai partiti”.