La furia della natura ha piegato l’Emilia Romagna, riversando acqua in quantità tali da invadere intere parti del territorio. La strage del maltempo ha fatto 13 vittime, migliaia le persone senza casa, ancora indefinito il numero di eventuali dispersi. Un “nuovo terremoto”, lo ha definito il presidente della Regione Stefano Bonaccini, proprio a pochi giorni dall’anniversario del sisma del 2012. La regione resta in allerta rossa per piene di fiumi e frane su tutta la Romagna, la pianura bolognese e modenese, le colline montane dell’Emilia centrale e bolognese. Scuole chiuse, economia in ginocchio, un’altra notte trascorsa fra paura e soccorsi.
Eventi eccezionali come questo meritano tutta la attenzione necessaria a capirne le cause, e ancora una volta pongono la questione di un serio piano nazionale di investimenti nella prevenzione e nella difesa del territorio. Ma non appena l’acqua ha iniziato a sommergere le strade e le prime case, l’ambientalismo radicale ha subito colto l’occasione per legare l’accaduto ai cambiamenti climatici. È lecito chiedersi però come si possa pensare di analizzare in tempi così rapidi una situazione complessa e di trarre conclusioni decisive nel giro di 48 ore.
Il dibattito sul cambiamento climatico è una questione seria che richiede analisi scientifiche rigorose e un approccio prudente. È rischioso etichettare ogni evento meteorologico, anche estremo, come una diretta conseguenza del nostro comportamento, ovvero delle ‘cause antropiche’ del riscaldamento climatico. Non si tratta di voler negare le realtà scientifiche, ma di evitare semplificazioni e generalizzazioni retoriche.
La comunità scientifica lavora instancabilmente per modellare e comprendere gli effetti dei cambiamenti climatici e quel che è certo è che ogni evento è influenzato da una miriade di fattori e richiede un’analisi attenta per determinarne le cause. Insomma, il cambiamento climatico è una questione globale che richiede risposte globali. Non si può ridurlo a slogan o usarlo come argomentazione polemica ogni volta che la natura si mostra nella sua forma più violenta.
Quello che ci serve non è più retorica, ma più ricerca, più analisi, più comprensione dei fenomeni naturali. C’è bisogno di investire in politiche a difesa dei comuni italiani a rischio frane, alluvioni, erosione costiera,
contro il rischio idrogeologico, oltre a contrastare le emissioni di gas serra, promuovere le
energie rinnovabili, e costruire infrastrutture resilienti alle mutazioni climatiche. C’è anche bisogno di un dibattito informato, equilibrato e basato su prove scientifiche solide, non su reazioni emotive a eventi tragici.
Se veramente vogliamo agire in modo serio e responsabile per il futuro del Pianeta è tempo di dare alle persone le informazioni di cui hanno bisogno per capire la realtà delle sfide che stiamo affrontando e per partecipare attivamente alla ricerca delle soluzioni possibili. Questo è il compito che attende le classi dirigenti insieme alla comunità scientifica. Senza dimenticare che chi amministra deve porsi seriamente il problema di provvedere nel modo più approfondito possibile alla manutenzione del territorio.