Cosa insegna il blackout spagnolo su rinnovabili e accumuli energetici

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Cosa insegna il blackout spagnolo su rinnovabili e accumuli energetici

Cosa insegna il blackout spagnolo su rinnovabili e accumuli energetici

02 Maggio 2025

La luce che se ne va. Internet che si spegne. Treni, aeroporti, ospedali e ascensori fermi. Il blackout che ha una settimana fa ha paralizzato la Spagna non è stato un attacco hacker, ma neppure un semplice guasto tecnico. Rappresenta, al contrario, un monito per tutti i Paesi europei nella corsa alla transizione ecologica. A disconnettersi, in una manciata di secondi, è stata la Rete. E tanto è bastato per spegnere un Paese. Insieme alla fiducia di chi pensa che le energie rinnovabili, da sole, siano sufficienti a garantire la continuità e la resilienza del sistema elettrico.

Il punto non è negare la transizione, né tantomeno mettere in discussione il valore delle energie pulite. Il punto è non cadere prigionieri dell’ideologia. In Spagna — dove eolico e fotovoltaico hanno raggiunto il 75% del mix — la mancanza di tecnologie in grado di garantire inerzia e backup ha reso la rete fragile. E vulnerabile. Le rinnovabili sono per natura intermittenti e, prive di capacità di regolazione e accumulo, possono esporre il sistema a blackout molto pericolosi. Non è una scoperta dell’ultima ora: gli operatori iberici lo sapevano, tanto da lanciare avvertimenti rimasti inascoltati. E oggi se ne accorge l’Europa, costretta a riflettere dopo che persino Tony Blair ha infranto il tabù, sostenendo che la neutralità climatica non può essere perseguita senza una dose di pragmatismo.

In Italia, la transizione è in pieno corso e ha nel Mezzogiorno la sua locomotiva. Dalle pianure assolate della Puglia ai crinali ventosi dell’Abruzzo e della Basilicata, il Sud è diventato il cuore verde del Paese. Ma proprio qui si concentrano anche potenziali rischi. Laddove si produce più energia solare ed eolica, occorre rafforzare l’infrastruttura per gestirne le oscillazioni. E senza accumuli adeguati, il rischio di trovarsi in una situazione simile a quella spagnola è possibile.

Una soluzione per gli accumuli sono le batterie al litio. Ma sarebbe miope affidarsi solo a una tecnologia che, oltre a costi e durata limitati, ci renderebbe dipendenti da filiere extraeuropee. Per questo in Italia, in attesa di capire se in futuro sceglieremo finalmente il nucleare, dovremmo investire su una risorsa antica e modernissima insieme, l’acqua. E su una tecnologia che abbiamo utilizzato da decenni: i pompaggi idroelettrici. I pompaggi possono garantire non solo la funzione di accumulo di lunga durata, ma anche quella di black start e di mantenimento della frequenza, replicando l’inerzia che le fonti intermittenti non possono offrire.

Il Mezzogiorno italiano, con le sue aree interne e montane — dall’Abruzzo alla Basilicata, passando per Campania e Calabria — possiede le caratteristiche ideali per ospitare nuovi impianti. Ecco, dunque, una strada da percorrere: integrare le rinnovabili con un’infrastruttura di accumulo radicata nei territori e capace di garantire stabilità al sistema. Così il Sud potrà essere non soltanto il motore della rivoluzione verde italiana, ma anche il garante della sua sicurezza. La lezione spagnola ci dice che la transizione non può essere un atto di fede. Deve essere, invece, un esercizio di realismo. E il realismo impone di costruire un futuro dove sostenibilità e affidabilità camminino insieme. Solo così le luci resteranno accese. Per tutti.