Di chi è la colpa se in Italia non c’è una “religione civile”?
18 Gennaio 2009
Da tempo, in Italia, anche in virtù della crescente attenzione riservata all’opera di Alexis de Tocqueville,il tema della religione civile sembra appassionare saggisti, storici, intellettuali militanti. Gran parte della letteratura, in realtà, come capita spesso nel nostro paese,è ‘strumentale’. Ai sostenitori della necessità di una ‘religione civile’ come ai suoi detrattori interessa poco capirne la natura e ancor meno approfondire la funzione che essa svolge negli Stati Uniti, la patria d’elezione del nome e della cosa.
Intervenendo,ad es.,sull’<equivoco della religione civile>, in un articolo pubblicato da ‘Micromega’, Gustavo Zagrebelsky definisce la religione civile come <pratica religiosa dei sacerdoti a vantaggio non della vita eterna delle anime, ma come salute dei popoli e delle città e come fattore connettivo, o presupposto socializzante della convivenza nelle comunità umane>. E’ una funzione che oggi la Chiesa cattolica rivendica per sé, offrendo <la teologia e i suoi valori come tessuto connettivo alle società occidentali di cui si presume il disfacimento>. Sennonché, in base al regime concordatario, fa rilevare il giurista,<Stato e Chiesa sono, cioè devono essere, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani> sicchè la religio civilis minaccia l’autonomia dell’uno e dell’altro, assumendo <l’insufficienza dell’ordine civile a badare a se stesso; afferma la competenza della religione in questioni relative alla ‘tenuta’ della società civile>. In base a questo stile di pensiero la Costituzione italiana dovrebbe venir letta anche come un testo di filosofia morale e di etica sociale, dal momento che nei suoi articoli troverebbero la soluzione molti dei problemi che, nel corso dei secoli, hanno agitato i grandi pensatori politici. Quale dev’essere il rapporto tra il diritto, la politica, i costumi (plasmati dalle credenze religiose)?, si chiedeva Tocqueville: se avesse letto l’opera dei nostri Padri Costituenti non avrebbe avuto alcun dubbio. Che Zagrebelsky stia parlando di qualcosa che conosce poco è provato, comunque, dalla sua curiosa asserzione che <la funzione civile della religione non può essere svolta da più religioni in concorrenza tra loro>. Sennonché l’autorità indiscussa in materia, Robert N. Bellah–v., tra gli altri suoi scritti Al di là delle fedi, Ed. Morcelliana 1975–mostra come in America sia avvenuto proprio questo, col rabbino, il pastore e il prete che, ciascuno nella sua ‘lingua’ religiosa, benedicono il ‘Grande Paese’. La ‘religione civile’ è una cosa seria, non dovrebbe diventare il pretesto per “portare avanti” la battaglia laicista e antivaticana.
Anche i suoi difensori, tuttavia, e soprattutto i tessitori di collegamenti tra la cultura laica post-azionista e i cattolici impegnati nel sociale, mostrano, talora, di parlare a ruota libera. Ne costituisce una riprova l’articolo di Vito Mancuso su ‘Repubblica’, La religione civile che manca all’Italia (13 gennaio u.s.). Il teologo avanza tre tesi che meritano qualche commento. La prima è che <una società è tanto più forte quanto più è unita e ciò che tiene unita una società è la sua religione>. Parole generiche sulle quali si potrebbe pure concordare, purché si lasci nel vago il significato della ‘religione’. E’ quanto si afferma dopo che non convince.<La religione civile è la particolare disposizione della mente per cui un antico romano concepiva Roma più importante di sé, o per cui i politici americani ripetono ’God bless America’sapendo che è l’America l’idea che tiene insieme gli Americani. E’ superficiale pensare che la società sia la semplice somma degli individui: l’Impero romano non era la somma dei cittadini romani, e l’America non è la somma degli americani. Roma e l’America rappresentano idee in grado di far sì che i singoli si sommino in modo ordinato, formando un sistema. E più l’idea è unificante, più il sistema è operativo>. E’ un’analisi, questa, che rischia di confondere ’religione politica’ e ’religione civile’ e di ridurre Dio al Gran Sacerdote che, dall’alto dei cieli, benedice i labari e le bandiere vittoriose.
<La religione civile–spiega Bellah–non è il culto della nazione americana, ma una comprensione dell’esperienza americana alla luce di una realtà ultima e universale>. Il mito della ’terra promessa’, dove scorrono il latte e il miele, si riferisce a una ’terra di giustizia’ e di libertà: i mormoni che con le loro carovane raggiungevano il lontano Utah e, prima di loro, i quaccheri che avevano chiamato Philadelphia la loro città non avevano in mente la potenza, che fonda i criteri di giustizia sulla ’ragion di Stato’, ma la nuova Israele in cui le tribù dei giusti avrebbero potuto convivere pacificamente nel rispetto della Legge del Signore. La religione civile, <elaborata e ben istituzionalizzata> in America, <non è in se stessa cristianesimo>. Il suo Dio austero è<molto più correlato all’ordine, alla legge e al diritto di quanto non lo sia alla salvezza e all’amore> e presenta innegabilmente <caratteristiche destiche” pur non essendo “assolutamente un Dio ‘orologiaio’>. In quanto <veicolo genuino di un’autocomprensione nazionale> essa, però, si è salvata da <un formalismo vuoto e particolare>.
In un certo senso, pensando al fondamentale saggio di Pierre Manent, In difesa della nazione (Ed. Rubbettino), si potrebbe dire che la ‘religione civile’ negli Stati Uniti ha svolto, mutatis mutandis, le stesse funzioni dell’ideologia statal-nazionale in Europa : ha messo assieme la ‘comunità’ e la ‘società’, la ‘tribù’ e l’’incivilimento’, ha dato un corpo, storico e vivente, a un’anima–le idealità cristiano-illuministiche. In questo modo–è ancora Bellah che parla–riuscì a costruire <simboli potenti di solidarietà nazionale e a mobilitare livelli profondi di motivazione personale per il raggiungimento di traguardi nazionali>.
Le cose non vanno meglio con la seconda tesi: <L’Italia non ha una religione civile e questo è il suo problema più grave>. Mancuso riporta la mancanza all’uomo del ’particulare’, descritto da Francesco Guicciardini in pagine amare e disincantate–e ripreso ,secoli dopo, da un altro Francesco, Francesco De Sanctis, come simbolo del lavoro di bonifica morale che attendeva lo stato unitario. <In Italia i più ritengono che il singolo sia più importante della società,e per il bene del singolo non si esita a depredare il bene comune della società>.E se si trattasse, invece, della trascrizione plebea della stella polare della società aperta ovvero del principio per cui è lo Stato al servizio dei cittadini e non i cittadini al servizio dello Stato, che trova la sua giustificazione proprio nella tutela di diritti individuali che gli preesistono, giusta la lezione di John Locke? <La religione civile, scrive Mancuso, è ciò che consente di rispondere alla seguente domanda: perché devo essere giusto verso la società? Perché devo esserlo anche quando la mia convenienza mi porterebbe a non esserlo?Senza un legame ‘religioso’ con la società,nessuno sacrifica il suo particulare, nessuno sarà giusto quando non gli conviene di esserlo e può permettersi di non esserlo Per questo la formazione di una religione civile è d’importanza vitale per il nostro paese>. Messo così, tuttavia, ha ragione Luca Massaro che nel ‘Diario’ del 15 gennaio u.s. obietta che Mancuso <per civile intende ciò che tutti possiamo essere disposti a concedere, e cioè che la società non sia ‘la semplice somma degli individui’> e che <nel diventare cives gli individui accettino vincoli e che la natura di questi vincoli ne caratterizzi una particolare dimensione relazionale che investe l’esistenza di tutti di ciascuno>. In altre parole, perché un materialista, un ateo razionalista, uno scettico humeano, un utilitarista benthamiano dovrebbero rifiutarsi di riconoscere che nessuna società può sopravvivere se ciascuno persegue il proprio utile a scapito degli altri? Non credo che un raffinato teologo come Mancuso voglia riproporre il vecchio cliché volterriano del sarto che non ruba la stoffa solo se crede in Dio!
Ma a destare le maggiori perplessità, comunque, è la terza tesi. <Una delle condizioni perché in Italia possa sorgere una religione civile è che i cattolici mettano la loro fede al servizio del bene comune> E’ un incipit su cui ci sarebbe già molto da dire ma a suscitare le maggiori perplessità è l’illustrazione storica che segue.<I tentativi di creare un’etica civile in Italia sono stati, e sono di due tipi: guelfo e ghibellino. Il primo intende l’etica civile come tradizione diretta del cattolicesimo, anche a prescindere dalla fede:è l’idea degli atei devoti, guardata con notevole favore dall’attuale gerarchia cattolica. Il secondo ritiene al contrario che un’etica civile potrà sorgere solo dal superamento del cattolicesimo, ritenuto il responsabile della sua mancanza in Italia soprattutto per la presenza del papato. Io ritengo entrambi i tentativi destinati a fallire, il primo perché non tiene conto della secolarizzazione e della globalizzazione, il secondo della tradizione. La storia ci ha mostrato infatti che una religione civile contrapposta al cattolicesimo non sia politicamente concepibile in Italia, si pensi al mito risorgimentale della nazione confluito nel fascismo e al mito della società confluito nel comunismo>. Se voleva ingarbugliare le acque, Mancuso ci è riuscito in pieno.
Per mettere ordine nel gran disordine, osserviamo, richiamandoci all’analisi di Bellah, che la ‘religione civile’ è connessa al senso orgoglioso di un’appartenenza comunitaria, etno-culturale, ‘benedetta da Dio’, che non è quello cattolico, o protestante o altro, ma un Dio-prisma che si rifrange in tutte le fedi monoteistiche e le chiama tutte a benedire lo Stato o a condannarlo come i profeti di Israele facevano con i re indegni del trono. Se questo è vero, parlare di religione civile in Italia diventa particolarmente complesso e rischioso. I laici, infatti, sono portati a ignorare le radici cattoliche delle nostre popolazioni (v. la polemica sul crocifisso), i cattolici sono portati a delegittimare lo Stato nazionale al punto che Mancuso, come un qualsiasi storico revisionista ‘teocon’, giunge a parlare di < mito risorgimentale della nazione confluito nel fascismo>.
Come si possa ricostituire un’identità spirituale, che trascenda il ‘particulare’, mettendo da parte quel moto unitario che ci ricongiunse all’Europa civile—e non solo per Carlo Cattaneo ma altresì per Alessandro Manzoni—è difficile capire. Dovremmo ricostituire un tessuto culturale unitario retrocedendo al Seicento dei ‘Promessi Sposi’ o al Rinascimento dello stato-opera d’arte o al Medio Evo? Gli interlocutori ai quali si rivolge Mancuso hanno fatto a gara nel cancellare dalla mente e dal cuore degli Italiani il Risorgimento, visto ora come una ‘<conquista regia>, ora come una colonizzazione del meridione ora come una ‘rivoluzione mancata’. Ad essi si sono aggiunti i teocon che hanno rispolverato l’accusa di rivoluzione anticristiana. Quali sono le chances della ‘religione civile’ con tutte queste distruzioni e demistificazioni? Il grande progetto, sotteso all’impresa storiografica defeliciana, era quello di reinserire lo stesso fascismo nella storia d’Italia, facendolo vedere come la risposta sbagliata (illiberale e antidemocratica) a problemi reali e alle sfide di una modernizzazione che nel ventennio si tradussero in opere e in istituti: quanti ne hanno colto le implicazioni etico-politiche e ne hanno fatto la base di una nuova identità nazionale, che nei ritrovati valori della libertà e della democrazia, riconciliasse i vinti e i vincitori della ‘guerra civile’?
Per Mancuso il compito che sta davanti alla sua pars, la cattolica, è quello di <porre davvero la fede a servizio del mondo,pensandosi come seme che marcisce nel campo o come lievito che scompare nella pasta. Fino a quando i cattolici italiani vorranno preservare la loro identità di cattolici senza pensarsi al servizio della società italiana verranno meno al loro compito>.
Tutte queste metafore, però, eludono le due questioni fondamentali su cui si decide la possibilità di ‘religione civile’ italiana. Lo Stato di Mazzini, di Cavour, di Garibaldi, di Minghetti, di Giolitti etc. è lo Stato di tutti i cattolici o i Manzoni, i De Gasperi, i Montini e gli Iemolo che ne fecero la loro patria dello spirito sono le eccezioni che confermano la regola dell’estraneità dell’Italia profonda alla sua storia unitaria? La religione cattolica che con le sue istituzioni, le sue Università, le sue Chiese, i suoi conventi ha segnato in maniera indelebile la nostra cultura, le nostre città, i nostri panorami spirituali va considerata come un ‘cane morto’ che meglio si vede,meglio è? Se non si riconciliano, in qualche modo, la religio e la civitas, parlare di ‘religione civile’ significa, per citare il grande Gaetano Salvemini, <pestare l’acqua nel mortaio>. Non è poco significativo che lo si faccia sul quotidiano della sinistra nostalgica della ‘guerra civile’, del ‘muro contro muro’ che nell’antiberlusconismo teologico—e ieri nell’anticraxismo– trova la sua più autentica ‘ragion d’essere’.