Famiglia Cristiana e la trappola del “cattolicesimo fai da te”

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Famiglia Cristiana e la trappola del “cattolicesimo fai da te”

02 Luglio 2008

Quando Famiglia Cristiana mette il becco nelle questioni politiche in un modo o nell’altro riesce a creare dibattito, a fare la notizia del giorno, da ultimo con le critiche al governo sulla questione rom-impronte digitali. È evidente che un settimanale con una tiratura di ben 800.000 copie sia un importante strumento nella formazione dell’opinione pubblica. Ciò che invece è meno ovvio è il reale motivo del maniacale interessamento al settimanale paolino: l’idea del tutto ingiustificata secondo cui Famiglia Cristiana, nelle sue critiche, esponga la vera e ortodossa linea di pensiero cattolica su tutto quello che riguarda attualità e oltre.

Ma è proprio così? Davvero Famiglia Cristiana può essere preso come “secondo magistero”, magari da affiancare a quello ordinario? Personalmente ne dubito. Anzi, spesso e volentieri le sue boutade progressiste fanno pensare il contrario. Uscite infelici che a suo tempo influirono molto, sembrerebbe, nella decisione di sostituire Don Leonardo Zega con l’attuale Don Antonio Sciortino. Ma a quanto pare ben poco è cambiato nella redazione della rivista. 

Lasciamo stare l’ormai classico nudo nella doccia, quella famosa pubblicità che giustamente suscitò scalpore (mica si è cattolici come l’elettricità, a fasi alterne…). Per il resto gli esempi si sprecano: nel numero 17 di quest’anno viene intervistata in occasione dei suoi ottant’ani Margherita Hack, presentata dalla intervistatrice come un modello scientifico e culturale da seguire. Peccato che come è noto la suddetta considera, più o meno testualmente, la religione come nulla più che una favola, non degna di essere presa in considerazione da persone razionali e mature. Oppure, sempre per rimanere ai tempi recenti, la copertina dedicata a Cristicchi quando vinse Sanremo. La scusa era il tema trattato nella canzone (la pazzia e la realtà dei manicomi), che secondo Padre Sciortino giustificava tale scelta sebbene la persona in questione non facesse mistero di anticlericalismo. 

Quest’ultimo caso è particolarmente calzante perché rappresenta l’essenza stessa del progressismo, del “cattolicesimo fai da te” che ha trasformato i preti moderni in assistenti sociali e svilito la carità in vuota filantropia. Mettere cioè da parte la Verità e i principi perché le cose importanti sono ben altre, e peggio ancora metterli da parte temendo che possano essere da ostacolo. Ottenendo come risultato una società sempre meno cristiana e, come insegna Benedetto XVI, sempre più nemica di se stessa perché nessuno le insegna più in cosa credere e quali sono le sue radici. 

Non voglio assolutamente insinuare che l’annacquamento progressista sia caratteristica di tutto l’ordine paolino (ne conosco qualcuno davvero in gamba). Però mi chiedo la ragione per cui nelle omonime librerie trovo sempre “Perché non possiamo dirci cristiani, e tanto meno cattolici” del mangiapreti Odifreddi – qualche volta anche in vetrina – e quando invece una volta chiesi perché la casa editrice non ristampasse il bellissimo “Pensare la storia” di Messori, la suora alla cassa mi rispose che “le tesi del libro erano troppo forti”. 

Quindi finiamola una volta per tutte di prendere per oro colato tutto quello che esce dagli editoriali del settimanale. Dal punto di vista della fedeltà alla Chiesa ci sono tante altre riviste più meritevoli sebbene meno vendute, due su tutte Il Timone e Studi Cattolici. E se posso dare un consiglio a Famiglia Cristiana, oltre a criticare tutto e tutti in negativo abbia il coraggio ogni tanto di riconoscere che esistono a livello politico e sociale realtà più meritevoli di altre. Magari non perfette, ma certamente più affidabili per un cattolico. Gli evangelici “no no”, erano infatti preceduti dai  “sì sì”: tutto il resto è solo pericolosa confusione.