Fondata sul lavoro (non sul reddito di cittadinanza) – di G. Quagliariello

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Fondata sul lavoro (non sul reddito di cittadinanza) – di G. Quagliariello

08 Agosto 2021

Le vedove inconsolabili del contismo, ma anche diversi commentatori, hanno voluto leggere nelle parole di Mario Draghi sul reddito di cittadinanza un assist all’ex premier dopo lo scontro sulla giustizia e una rassicurazione al Movimento 5 Stelle sul fatto che la controversa misura assistenziale non farà la stessa fine dell’abolizione della prescrizione.

Personalmente ho qualche dubbio su questa interpretazione. Per come abbiamo imparato a conoscere la comunicazione del presidente del Consiglio, infatti, affermare che “è troppo presto per dire se il reddito di cittadinanza verrà riformato” somiglia tanto a un preannuncio di riforma. Quanto alla “piena condivisione” del principio che di quella misura è alla base, trattasi di tautologia: sostenere gli indigenti aiutandoli nel frattempo a trovare un lavoro è proposito che difficilmente qualcuno potrebbe non condividere. Il problema – e che problema! – è il modo nel quale il principio viene tradotto in pratica.

I dati sono noti e impietosi: percentuali elevate di percettori “abusivi”, la stragrande maggioranza dei beneficiari “occupabili” che non ha ancora nemmeno avviato l’iter previsto per la collocazione in un impiego, attività soprattutto turistico-ricettive e agricole che faticano a trovare personale perché in molti preferiscono la paghetta di Stato per stare a casa, magari arrotondata con qualche giornata in nero, a uno stipendio guadagnato con il sudore della fronte. Costo: per l’anno in corso, nella situazione in cui ci troviamo, si raggiungeranno probabilmente i nove miliardi di euro.

Ben venga una riforma, dunque. Ma che sia radicale, soprattutto nel ribaltare la prospettiva.

Visto nell’ottica del sistema-Paese, il tema va inquadrato nel contesto più ampio di un extra-indebitamento mostruoso, che va a sommarsi a un debito consolidato abnorme, del quale all’Italia di qui a qualche anno – alla scadenza dell’orizzonte del Recovery – verrà chiesto conto. In questa visuale, per finalizzare le risorse in chiave di crescita e di ripresa, bisogna interrogarsi sugli effetti distorsivi di alcune misure introdotte negli ultimi anni. Il reddito è una di queste ma a regime non bisogna sottovalutare nemmeno il peso strutturale di “quota 100”. E personalmente nutro anche qualche perplessità su un utilizzo massivo dei super bonus 110 per cento.

Di fronte a una pandemia un Paese già indebitato non ha potuto fare altro che contrarre nuovo debito. Ma se la sfida della ripartenza, per dirla con il premier, passa per la capacità di far sì che il debito inevitabile sia “debito buono”, e dunque produttivo, una riconsiderazione delle distorsioni strutturali non è più rinviabile. E il reddito di cittadinanza non può non essere fra le prime voci della lista, non solo per il suo costo e per il suo evidente malfunzionamento, ma anche e soprattutto per il messaggio sbagliato che trasmette ai giovani in un momento nel quale c’è bisogno dello sforzo straordinario di tutti per uscire vivi dal tunnel.

Ripeto: non si tratta di negare l’opportunità di strumenti di sostegno immediato al reddito per le situazioni di reale indigenza, e anzi se solo lo si volesse vi sarebbero modelli virtuosi già sperimentati in un passato non remoto ai quali attingere. Si tratta, per il resto, di orientare verso il lavoro e lo sviluppo qualsiasi misura incentivante, perché le risorse fruttino e per non dare nemmeno la sensazione a coloro che “tirano la carretta” in una situazione di estrema difficoltà che agli occhi dello Stato il loro sforzo valga meno della passiva ricezione di un sussidio mensile con l’impegno del tutto virtuale e disatteso della ricerca di un impiego.

Si possono studiare incentivi e defiscalizzazioni per chi investe e crea economia e occupazione. Si può immaginare, come proposto su queste pagine da una persona che queste realtà le conosce bene, un “reddito di resilienza” che mensilmente faccia percepire la vicinanza concreta dello Stato non a chi resta inerme ma a chi contro tutto e contro tutti tiene aperta un’attività nelle realtà più complesse del Paese, sempre in bilico sul ciglio dello spopolamento e dell’abbandono.

Di certo qualcosa bisogna fare. Impedendo che un tema così cruciale si limiti ad essere terreno per un inconcludente polverone mediatico estivo, per poi non cambiare nulla. Perché se a Ferragosto può essere “troppo presto” per parlare di riforma e saggio sottrarre l’argomento alle schermaglie contingenti, dobbiamo allo stesso modo evitare che le cambiali sottoscritte giungano a scadenza e per cambiare rotta diventi troppo tardi.