Ha ragione Brunetta: bisogna liberarsi di élites parassitarie e improduttive

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Ha ragione Brunetta: bisogna liberarsi di élites parassitarie e improduttive

22 Settembre 2009

La polemica nata in questi giorni dopo le dichiarazioni di Renato Brunetta ha del paradossale: da un lato un esponente di spicco del governo di centro-destra che attacca le élites e si appella direttamente al popolo e dall’altro i leader della sinistra che respingono con durezza le accuse di Brunetta e si ergono a paladine delle aristocrazie del potere. In teoria sarebbe proprio della cultura della destra liberal-conservatrice un approccio realista alla politica ed alla democrazia; un approccio che normalmente la porta a riconoscere il ruolo delle élites nel concreto funzionamento dei sistemi politici e sociali. Nella cultura della destra la democrazia non è il potere del popolo in quanto tale, quanto piuttosto il potere esercitato dalle élites, ma sottoposto al controllo del popolo. Viceversa è proprio della cultura della sinistra (o almeno di quella non totalitaria) una visione utopista della democrazia che affida direttamente al popolo la titolarità e l’esercizio del potere

Ma il paradosso è solo apparente e si spiega facilmente se si pone attenzione alle caratteristiche peculiari della storia delle élites (intellettuali, letterarie, artistiche, cinematografiche, giornalistiche, burocratiche, sindacali, giudiziarie …) del nostro Paese. Sarà per la storica debolezza della borghesia, sarà per il processo faticoso ed incompiuto di formazione dello Stato unitario, sarà per la presenza radicata della Chiesa, sarà per la vicenda del fascismo, sarà per la presenza del più forte partito comunista di Occidente. Sarà per l’insieme di questi fattori ma certo è che in Italia le élites sociali non sono mai riuscite a svolgere appieno quel ruolo di guida morale e di punto di riferimento culturale che avrebbero dovuto assumere.

Di fronte ad un sistema politico debole e frammentato, di fronte ad un sistema economico chiuso, di fronte ad una cultura nazionale scissa, le élites italiane hanno storicamente preferito svolgere una funzione “antinazionale”, ritagliandosi degli spazi di potere attraverso cui estrarre delle comode rendite al riparo da ogni rischio. Anziché correre i rischi inevitabilmente con l’esercizio della funzione di guida dei processi politici, economici e sociali, le élites nazionali hanno preferito adagiarsi su posizioni parassitarie, quasi sempre assistite da soldi pubblici. Ma questa dinamica assistenziale ha inevitabilmente minato la capacità delle élites di interpretare il sentimento nazionale e di comunicare con il demos. Anzi, per rafforzare la propria posizione ed il proprio prestigio, le élites hanno spesso ceduto alla tentazione di porsi in posizione antagonista rispetto alla cultura ed alla identità del Paese.

Il caso del cinema italiano, sollevato proprio da Brunetta nelle scorse settimane è illuminante. Nel corso degli ultimi decenni si è sviluppato un vero e proprio ceto di registi, sceneggiatori ed attori cinematografici i quali, sopravvissuti grazie alle sovvenzioni dello Stato, non sono riusciti a produrre nulla di veramente notevole dal punto di vista artistico ma al tempo stesso si sono erti a rigorosi fustigatori dei (cattivi) costumi nazionali. Un esempio. Quanti sono in grado di ricordare all’impronta un (dico uno solo) film di Cito Maselli, regista sempre in prima fila nella polemica contro le degenerazioni del sistema?

Ma l’equilibrio che si era storicamente consolidato fra potere politico debole ed élites parassitarie si è rotto quando nel 1994, crollata la prima repubblica, la nostra democrazia si è faticosamente avviata verso un modello di democrazia decidente. In quel momento il compromesso di reciproca tolleranza nell’indifferenza è venuto meno. Le élites, sentitesi minacciate nelle proprie posizioni, hanno preteso di alzare la voce nella speranza di restaurare l’età dell’oro. La violenza delle polemiche che l’intellighenzia italica rivolge da ormai quindici anni all’indirizzo di Silvio Berlusconi non è nemmeno lontanamente paragonabile a quella che si registrava negli ultimi vent’anni della prima Repubblica. Eppure in quegli anni si sono consumati alcuni dei principali misfatti che hanno demolito lo Stato italiano, hanno squalificato la nostra democrazia ed hanno azzoppato il nostro sistema economico. I gravi problemi che oggi ci troviamo ad affrontare derivano essenzialmente da quel periodo, periodo nel quale le nostre élites, mollemente adagiate tra Capalbio, Cortina e Montecarlo, non trovavano il coraggio di far sentire con forza la propria voce.

Dal nostro punto di vista, allora, il problema quindi non è tanto la polemica contro le élites in quanto tali. Non è la rivendicazione del popolo come unica fonte di legittimazione del potere. Il problema è che cambi in profondità la qualità delle nostre élites. Le élites dovrebbero essere in grado di anticipare e guidare i processi di innovazione, di aprire nuovi scenari. E’ di queste élites che sentiamo dannatamente la mancanza in questa fase di transizione. Viceversa di élites di mera conservazione dello status quo (e delle rendite parassitarie di cui godono) non abbiamo alcun bisogno. Queste élites, ha ragione allora Brunetta, che vadano a morire ammazzate!