“Il dialogo è all’inizio ma sulla libertà religiosa siamo già d’accordo”
08 Novembre 2008
Chi l’avrebbe detto che il tanto contestato discorso di Ratisbona pronunciato da Benedetto XVI avrebbe spianato la strada al dialogo tra islam e cristianesimo? L’aver messo la religione musulmana di fronte ai suoi nodi irrisolti, su tutti il difficile rapporto con la “ragione”, è stato un atto di coraggio che ha toccato nel vivo numerosi intellettuali e accademici islamici di “buona volontà”, facendoli uscire allo scoperto con la famosa lettera dei 138 indirizzata a Benedetto XVI. Un passo importante, questo, quanto mai necessario per marcare le distanze dal radicalismo religioso antioccidentale che è il grande male di cui la civiltà islamica deve oggi liberarsi per aprirsi definitivamente alla modernità. Anche l’iniziativa del re saudita Abdullah – la conferenza di Madrid sul dialogo interreligioso – è nata in conseguenza della scossa che Benedetto XVI ha voluto dare al mondo musulmano. Il forum che si è tenuto a Roma dal 4 al 7 novembre, cui hanno partecipato grandi studiosi ed esperti di entrambe le confessioni, è un ulteriore passo avanti verso una convergenza tra islam e cristianesimo sul piano etico e culturale. Lo studioso gesuita di origini egiziane, Samir Khalil Samir, va certamente annoverato tra i principali protagonisti dell’iniziativa, che ha avuto luogo sotto l’egida del Pontificio istituto per il Dialogo interreligioso, presieduto dal cardinale Tauran. Docente all’università Saint Joseph di Beirut, autore di numerose pubblicazioni e autorevole firma di Asia News, Samir trae per l’Occidentale un bilancio della tre giorni di dibattito tra cattolici e musulmani, culminata nella promulgazione di una importante dichiarazione finale.
E’ soddisfatto dello svolgimento del forum?
Ci sono molto aspetti positivi. Si è creato fin da subito un clima di fiducia reciproca, abbiamo parlato a cuore aperto, con sincerità, senza aggredire. C’erano alcuni timori, trattandosi del primo incontro, ma sono tutti caduti grazie al tono spirituale che il gran muftì di Sarajevo, Mustafa Ceric, e ancor più il cardinale Touran sono riusciti a infondere ai partecipanti. Anche il tema centrale del forum, “l’Amore di Dio, l’Amore del Prossimo”, invitava a questa armonia.
Nella dichiarazione conclusiva si riconosce “il diritto degli individui e delle comunità a praticare la propria religione in pubblico e in privato”.
È stato il punto più difficile della dichiarazione, il numero 5. Qualcuno tra i musulmani non voleva che questa frase fosse inserita, poi è intervenuto il gran muftì per dire che si trattava di una frase ripresa dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo delle Nazioni Unite, firmata anche dalla maggioranza dei paesi musulmani. Dunque non doveva creare alcun problema. Anche se nella pratica ci sono governi che non la applicano, sul principio siamo d’accordo. Così le obiezioni sono cadute.
Su cosa si basavano le obiezioni?
Non erano sul principio, ma sul fatto che si andava a toccare un aspetto politico. Si sa che ci sono dei governi che ad esempio condannano a morte chi si converte ad un’altra religione per apostasia. Allora l’obiezione da parte musulmana riguardava le difficoltà che avrebbe implicato la diffusione del documento in alcuni paesi islamici a causa dell’opposizione dei governi. Questo timore è comprensibile, ma alla fine è stato superato.
Dal forum giunge pertanto anche un’indicazione per i governi dei paesi islamici affinché garantiscano la libertà religiosa.
Sì, perché abbiamo tutti preso l’impegno di diffondere il documento e promuoverne i principi.
In questo modo i saggi musulmani hanno rotto un tabù, visto che inizialmente volevano circoscrivere il dialogo alle questioni teologiche e spirituali, senza parlare di diritti umani.
Alcuni musulmani non volevano andare oltre, ma poi hanno accettato l’organizzazione che la commissione preparatoria ha voluto dare all’iniziativa. Sono stati fissati due giorni, il primo per la spiritualità e la teologia, il secondo per i diritti umani, il rispetto reciproco e la libertà religiosa. Anche qui c’è stata qualche resistenza, alcuni non volevano affrontare certi argomenti, ma poi anche questo è stato superato.
Si è parlato della dhimmitudine?
La questione della dhimmitudine non è stata affrontata direttamente. Abbiamo parlato in generale della condizione dei cristiani in Medio Oriente in maniera aperta e chiara. Tra i musulmani ci sono state dichiarazioni di solidarietà verso le difficoltà che i cristiani stanno attraversando nell’area.
E’ stato affrontata la questione del rapporto tra religione e politica?
Abbiamo affrontato l’argomento della laicità dello stato. Se si parla di laicità aperta, come ha fatto Benedetto XVI a Ratisbona, o di laicità positiva, come ha fatto Sarkozy, cattolici e musulmani sono d’accordo. Se la laicità dello stato significa opposizione alla religione, allora no. Qualcuno, da parte musulmana, ha proposto la distinzione interessante tra laicità dello stato e laicità della società. Al riguardo, musulmani e cristiani sono uniti nel difendere sia lo stato laico che la dimensione spirituale e religiosa nella società dall’eccesso di secolarismo. La laicità come opposta alla religione è un concetto superato: la religione ha il proprio posto nella società come una delle sue dimensioni fondamentali.
Si è parlato di Islam e ragione?
Leggermente. Si è detto che nella storia islam e ragione sono state spesso uniti, ma non si è fatta una critica nello specifico. Alcuni musulmani ci hanno detto di non considerare i fenomeni di fanatismo religioso contro l’Occidente e la modernità come il vero islam, perché sono una conseguenza di determinate circostanze storiche.
E della necessità d’interpretare il Corano?
Non abbiamo approfondito l’argomento perché il tempo non permetteva di vedere tutto. Si tratta del primo incontro che ci ha permesso di fare una panoramica generale delle tante questioni da affrontare. E’ l’inizio di un processo. La cosa fondamentale è che nella dichiarazione conclusiva si prende l’impegno a organizzare un nuovo forum in un paese islamico per proseguire il dialogo. È l’inizio di un processo regolare, questo è molto importante. Se si fosse trattato di un’iniziativa sporadica anche un documento più avanzato sarebbe caduto nel vuoto. Quello che importante è che abbiamo innescato un processo, una tantum non porta frutti. I frutti verranno con la continuità. Stavolta l’impostazione dell’incontro era un po’ generica, ma successivamente saremo in grado di affrontare gli argomenti più nello specifico.
Come considera la presenza di Tariq Ramadan in questo consesso?
E’ stato molto discreto, è intervenuto poche volte, meno di altri, e sempre in modo ragionevole, razionale ed equilibrato. Una presenza positiva che può favorire il dialogo. E’ anche intervenuto in maniera autocritica sul mondo musulmano.
E per quanto riguarda i rappresentanti dell’Islam italiano?
C’erano Yahya Pallavicini del Coreis e altri esponenti. Sono stati molto discreti, tutti sono sulla stessa linea di un islam spirituale e non militante, contro l’Ucoii. Un islam aperto, moderato, moderno.
Cosa pensa della iniziativa saudita sul dialogo tra le religioni. Ci si può fidare di re Abdullah?
Credo di sì. Anche il vescovo Hinder, il vescovo svizzero designato per la penisola araba, mi ha detto che ha buone intenzioni. Lo si può dedurre anche dal percorso personale che Abdullah ha compiuto.
E gli iraniani?
C’era qui un ayatollah con cui ho avuto modo di parlare. Mi ha dimostrato una grande apertura, si sente molto vicino alla chiesa cattolica, come gli iraniani e gli sciiti in genere. Col cristianesimo, dal punto di vista teologico e spirituale, lo sciismo ha dei punti di contatto importanti. La loro è un’interpretazione più libera e filosofica del Corano, come da tradizione. Non a caso è dalla Persia che vengono i grandi mistici della storia dell’Islam.